venerdì 7 dicembre 2007

L’uomo di Ceppaloni ha detto no!

Perchè i giovani calabresi sono con De Magistris
Perchè i giovani calabresi sono con De Magistris
L’uomo di Ceppaloni ha detto no!
di Mimmo Loiero

In tanti soprattutto fuori regione vorrebbero capire le ragioni della straordinaria mobilitazione dei calabresi sul caso De Magistris.
De Magistris afferma che un’altra Calabria è possibile.
Come quei calabresi che non rinunciano alla speranza.
Lui però lo dice con inchieste che hanno cominciato a rivelare quello che tutti i calabresi sanno e possono vedere ogni giorno: i depuratori fantasma, le fabbriche fantasma, i posti di lavoro fantasma, lo sviluppo fantasma e i tantissimi soldi - soldi veri - sprecati, sciupati, rubati, rapinati. E poi l’accumulo di cariche e incarichi, di consulenti e consulenze e i giovani costretti a trovare lavoro altrove.
Le inchieste dicono pure che i soldi rimasti in Calabria - per comprare voti, potere, consensi - sarebbero relativamente pochi, la maggior parte sarebbe tornata a Roma e al nord come tangenti e come commesse per l’acquisto di impianti obsoleti, ferrivecchi buoni appena per giustificare fatture, servizi mai forniti, stipendi e competenze per lavori mai svolti e consulenze, consulenze, consulenze. Cose risapute dette e ridette senza fare danno.
Ma le inchieste fanno nomi e cognomi e questo invece fa danno... a chi vuole continuare così fino all’eternità
L’uomo di Ceppaloni ha detto no! E molti calabresi - quelli che non mangiano con i soldi della politica, quelli che vorrebbero restare - vivono questo no come un calcio sui denti. Magari vorrebbero dire con orgoglio che con o senza De Magistris la Calabria può andare avanti lo stesso ma sanno che l’indomani della “cacciata” del magistrato, in tanti con disperata desolazione o con gioia maligna ripeteranno ancora una volta il ritornello antico: tanto qui non cambia niente...
Per questo si sono mobilitati per una battaglia che è soprattutto politica e che quindi può essere vinta o persa non cincischiando su tecnicismi giuridici ma solo schierandosi da una parte o dall’altra.

Nessuno deve sapere!

Nessuno deve sapere!
La Procura Generale avoca l'inchiesta Why not

Dolcino Favi, un avvocato generale dello Stato che da gennaio 2007 fa il procuratore generale reggente a Catanzaro ha avocato a sé l'inchiesta Why not, quella in cui sono indagati anche il presidente del Consiglio, Romano Prodi (abuso d'ufficio), il ministro della Giustizia Clemente Mastella (abuso d'ufficio, finanziamento illecito ai partiti, truffa all'Unione europea e allo Stato italiano) e una schiera di politici, affaristi, militari, magistrati, massoni.
L'avocazione è, per ora, l'ultimo atto di una guerra al pm De Magistris. Giunge infatti dopo tre anni di ispezioni da parte del ministero di grazia e giustizia, dopo ostacoli interni ed esterni alla procura, dopo l'avocazione dell'inchiesta Poseidone, dopo la richiesta di Clemente Mastella di un immediato trasferimento del magistrato, dopo che la seguitissima trasmissione televisiva Anno Zero ha messo in piazza tutta la vicenda, dopo la decisione del CSM (consiglio superiore della magistratura) di rinviare la decisione sul caso a dicembre, dopo l'iscrizione nel registro degli indagati dello stesso Mastella, dopo l'inchiesta Toghe lucane dello stesso De magistris che coinvolge ambienti della magistratura, imprenditori e politici in ipotesi di reato che vanno dalle malversazioni politiche all'aggiustamento di processi, in un groviglio tremendo, in una guerra senza quartiere fatta a colpi di perquisizioni, intercettazioni, spiate, minacce.
L'inchiesta denominata "Why Not", che trova spazio e clamore sulla stampa nel mese di giugno 2007, riguarda finanziamenti comunitari e statali destinati allo sviluppo della Calabria. Sono coinvolte una ventina di persone per reati come associazione a delinquere, corruzione, violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, truffa, finanziamento illecito ai partiti.
Gli indagati sono politici calabresi, da Adamo dei DS ad ambienti di Forza Italia, funzionari regionali, il capocentro del Sismi di Padova, una funzionaria del Cesis (l’ufficio di coordinamento dei servizi segreti), Giorgo Vittadini, ex presidente nazionale della Compagnia delle Opere, e attuale presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, un’altra società facente capo a Comunione e liberazione. Tra gli indagati il generale della Guardia di Finanza Paolo Poletti, capo di Stato Maggiore del Corpo per reati come per truffa, truffa aggravata ed associazione a delinquere. Successivamente la lista si allunga fino a comprendere il ministro della giustizia Clemente Mastella (abuso d'ufficio, finanziamento illecito ai partiti, truffa all'Unione europea e allo Stato italiano) e perfino il capo del governo Romano Prodi (abuso d'ufficio).
Nonostante le rassicurazioni che arrivano dagli ambienti governativi sulla continuazione dell'inchiesta, in Calabria, ma non solo in Calabria, vi è forte preoccupazione che questo ultimo atto, dovuto secondo il pm, alla "manina della massoneria" segni la fine di una inchiesta che, caso rarissimo se non unico in Calabria, aveva cercato di scavare nella serie infinita di malversazioni e scelleratezze per la rapina dei fondi comunitari destinati allo sviluppo della regione. Miliardi volatilizzati per avere niente.
Per questo si può prevedere un forte mobilitazione dei giovani che si trovano ogni giorno davanti al dilemma se continuare a subire queste vergogne o andar via.
I calabresi conoscono benissimo le storie infinite degli stabilimenti fantasma, dei depuratori fantasma, delle infrastrutture fantasma, delle autostrade informatiche fantasma; si sono pure fatta un'idea della consistenza enorme delle risorse reali che la macchina della corruzione regionale è in grado di divorare macinando tangenti ma anche incarichi e cariche pubbliche, posti nei consigli d'amministrazione, consulenze e posti di lavoro fasulli, acquisendo e pagando lautamente consenso elettorale, protezioni e connivenze.
Da più parti giunge oramai la richiesta di mettere la parola fine a questo merdaio, alla vergogna di sottomettersi a logiche di predazione che ai complici locali lasciano solo le briciole.
Per fare questo, per un nuovo inizio, è indispensabile che agli episodi di ordinaria corruttela che oramai vengono riconosciuti da tutti, venga messa un'etichetta col nome e la faccia dei responsabili. Locali e nazionali, di destra di centro e di sinistra.
Questo stava facendo De Magistris. Su questo oggi si vuole calare il sipario.

Gli incapienti, la casta e la brioche di Maria Antonietta

Gli incapienti, la casta e la brioche di Maria Antonietta
di Mimmo Loiero


Si narra che Maria Antonietta regina di Francia detta anche Madame Deficit per la sua attitudine allo sperpero, avvisata che a Parigi i popolo protestava perché mancava il pane rispondesse: "qu'ils mangent de la brioche" Si dice pure che la corte dello zar fosse impegnata in defatiganti balli di gala allo scoppio della rivoluzione russa, durante "i dieci giorni che sconvolsero il mondo". Più recentemente il segretario del PSI Bettino Craxi non aveva assolutamente alcun presentimento la sera che uscendo dall'hotel Raphael dovette scappare inseguito da una pioggia di monetine.
Decisamente il potere fa tanto venire le fette di salame davanti agli occhi che i potenti di turno non riescono minimamente a sentire il vento che cambia, l'avvicinarsi della bufera.
E' quello che probabilmente sta avvenendo ai giorni nostri.
L'Italia della seconda repubblica fa acqua da tutte le parti. Decisamente non riesce a reggere il confronto con l'economia globale e con l'Europa.
Non riesce sul piano produttivo perché rischia di rimanere sommersa e sconvolta da un sunami di prodotti: giocattoli, vestiti, prodotti industriali, hardware, software, scarpe perfino e alta moda. Tutto oramai viene dall'est mentre nelle nostre fabbriche gli impianti arruginiscono.
Ma non riesce neanche sul piano sociale a far fronte, per esempio, con dignità e perizia alla invasione delle braccia e delle pance vuote che arriva dall'est e dal continente nero. Si dice che gli immigrati fanno i lavori che gli Italiani non vogliono più fare.
La situazione è molto più complessa.
Gli immigrati in Italia, soprattutto al sud, sono una nuova numerosa e disponibile classe servile che rende antieconomica ed inutile una strutturazione moderna di servizi sociali per gli anziani, i bambini, i malati la famiglia in generale; invece di costruire case di riposo moderne, invece di asili nido, invece di battersi per un welfare all'altezza dell'europa, si assumono badanti, domestiche, serve spesso in nero. Gli immigrati sono anche i nuovi schiavi. Soprattutto al sud. Nelle pianure pugliesi, negli aziende di produzione ortofrutticola del napoletano, negli agrumeti della Piana di Gioia come nelle piantagioni siciliane, i nuovi schiavi la mattina si mettono in fila nelle piazze dei paesi per vendere le braccia per compensi da fame, senza casa per abitare, senza servizi igienici, in nero senza assicurazioni e addirittura senza identità perché i documenti vengono ritirati dai padroni e restituiti solo a fine tratta. Molto peggio che negli anni bui del caporalato e del latifondo. E' vero gli Italiani, i meridionali, i calabresi, i siciliani, non sono più disposti a fare questi lavori. Soprattutto a queste condizioni e magari con una laurea in tasca. Per questo vanno via, emigrano a Milano o a Dublino, nei call center o nelle birrerie e nei pubs perché un lavoro precario è comunque meglio di un non lavoro o della guerra tra poveri.
L'Italia della seconda repubblica non regge il confronto soprattutto con la necessità di innovare investire energie e risorse sull'ambiente, nella protezione e valorizzazione dell'immenso patrimonio ambientale artistico e culturale che sta andando in rovina. Napoli e la Campania divorata dai rifiuti e dalla sporcizia, i trecento chilometri di costa calabresi infettati e minacciati dai rifiuti tossici buttati a mare e dai depuratori che non ci sono nonostante i miliardi spesi, la Sicilia soprattutto nel catanese con un inquinamento industriale da petrolio e prodotti chimici.
L'Italia della seconda repubblica, l'Italia del capitale sta implodendo, sta divorando se stessa. I mercati finanziari in questi anni sono stati drogati dalle finte privatizzazioni, dai titoli fasulli, dai "nuovi" prodotti finanziari, dalla finanza creativa, dalle grandi opere mai realizzate e spesso irrealizzabili, dalle operazioni di fusione, dalle cordate e dalle opa... lle mirabolanti di furbi e furbetti di quartiere e di metropoli. I denari sono fuggiti via dalle aziende per collocarsi sulla pura speculazione finanziaria e oggi su una speculazione edilizia che pende sul futuro degli italiani come una spada di damocle.
Della crisi politica è meglio non parlare. Il ceto dirigente, non solo politico, italiano è stato chiamato casta. Ce ne erano tutte le ragioni. Ma ancora non sono molto chiare tutte le implicazioni di questa definizione che ha avuto tanto successo proprio perché puntuale e precisa. Una casta esiste solo se la società è organizzata in un sistema di caste. E quindi alla casta dei detentori di potere, privilegi, lussi e remunerazioni da nababbi, in Italia oggi si affianca una casta di intoccabili i diseredati totali, quelli che con una parola orribile vengono definiti incapienti i poveri poveri, esclusi da tutto senza redditi, senza certezze, senza dignità. Le anime morte del terzo millennio. Accanto a questa, un'altra casta quella che una volta si chiamava classe media, in Italia debolissima, oggi con la sindrome del tasso variabile, che vive nel terrore di perdere la casa, perdere il lavoro, precipitare tra gli incapienti.
Di fronte a questo quadro non proprio a colori pastello, cosa fanno i nostri potentucci?
Riempiono i talck-shows televisivi, i giornaletti rosa e spesso le pagine di cronaca nera con le loro vanitoserie private e dei loro squallidi delitti pubblici: delle corruttele, dei ladrocini. delle strafottenze, delle arroganze. Mobilitano parabole, antenne, pennivendoli, sentenze e palinsesti per far fuori i loro nemici. Ieri Biagi, Travaglio, Colombo, Luttazzie e Santoro, oggi Demagistris, Beppe Grillo, la Forleo e di nuovo Luttazzi e di nuovo Santoro.
Ma, bisogna ammetterlo, quando è ora di governare e legiferare, governano e legiferano.
Come l'asssessore all'ambiente del comune di Napoli che ha emanato un editto, diffuso in prime time, per vietare il fumo nei parchi pubblici. A Napoli. Con la mondezza che ti arriva alla gola. A Napoli con le camorre che ammazzano e la corruzione politica che vende pure i posti-letto in ospedale... A Napoli chi fuma, nel parco, avvelena anche te!
Come l'assessore Adamo in Calabria che l'altro giorno ha inaugurato l'ennesimo portale turistico pagato (pare un milioneemezzo di euro roba da far morire di rabbia tutti i web master calabresi che, tutti insieme, un milioeemezzo di euro non li guadagnano in tutta la vita). Il tutto dopo che la regione aveva mollato il Piano telematico regionale che aveva visto uno sperpero oscuro multimiliardario di soldi pubblici in cui è rimasta implicata Bruna Bossio moglie dello stesso assessore sperpero collegato all'inchiesta Whai not avocata al magistrato de Magistris.
Come il segretario UDC Cesa che, indagato pure lui per questioni legate ai depuratori calabresi (avocata a De Magistris), nei confronti di un suo deputato (onorevole si fa per dire Cosimo Mele) preso con le mani nella marmellata (pardon coca e allegre puttane), invece di calci in culo, invocava una nuova indennità per tutti i parlamentari che il duro lavoro costringeva a rapporti sessuali pagati e costosi (è andata proprio così, non è una barzelletta!!!).
Certo non vogliamo fare di ogni erba un fascio! Gli altri...
In questi giorni di grandi manovre, gli altri ( parlamentari di sinistra in testa ) hanno in testa la crisi di governo. Vogliono buttare di nuovo a mare il governo Prodi. Per fare cosa? Non lo dicono perché non lo sanno. Non hanno nessuna soluzione migliore da proporre. Soprattutto per quanto riguarda gli interessi di ciò che dicono di difendere. I salari degli operai. Deja vu. Anni fa suicidarono un altro governo Prodi e i salari degli operai raggiunsero un record. I più bassi d'Europa. Gli operai erano contentissimi perché avevano anche un altro record quello del maggior numero di incedenti sul lavoro. Anche tutti gli Italiani erano contenti. In TV tutto andava benissimo. Soprattutto i conti di Mediaset. Si sa. Quello che non accade in TV, non accade. I più contenti di tutti erano proprio loro i cosi rossi. Berlusconi un bel regalo glielo aveva fatto. Una legge elettorale che ha tolto agli Italiani il diritto di voto. Evviva!!! Liste bloccate!. Un vero sballo, innovazione rivoluzionaria! Come nella Russia. Di Brezniev.

L'UTOPIA AL TEMPO DEL VILLAGGIO GLOBALE

L'UTOPIA AL TEMPO DEL VILLAGGIO GLOBALE
Pangloss, le ali e il piffero
di Mimmo Loiero

"Il canto è nato prima della parola parlata, la poesia è nata prima della prosa, la religione e l'arte sono nate prima della scienza. Nulla di tutto questo è stato inutile. Anzi i grandi avanzamenti sono avvenuti grazie a queste poche svolte vitali e feconde che si sono periodicamente inserite nel lungo cammino percorso dall'umanità. L'arte perciò è rivoluzione." (A. Bordiga.)

"Una carta del mondo che non contiene il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo. E quando vi getta l'àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela" (O. Wilde)

E' passato molto tempo da quando Pangloss, metafisico-teologo-cosmologo-scempiologo, insegnava al giovane Candide che questo è il migliore dei mondi possibili. Dopo un quarto di millennio, nell'anno del signore 2007, i tantissimi sociologi-politologi-massmediologi... scempiologi di oggi affermano esattamente il contrario: viviamo nel peggiore dei mondi possibili.
Non devono neanche fare fatica, come il buon Pangloss, a dimostrare il loro assunto. Guerre, sfracelli, miserie, terrorismi, porcherie, ammazzamenti, ingiustizie e vessazioni, mostrati con dovizia di particolari ogni giorno all'ora dei pasti, sui maxischermi HI-FI a cristalli liquidi comprati a rate con Findomestic, lo dimostrano senza lasciare dubbi o perplessità.
Stranamente però, con un assunto che è l'esatto contrario, le conclusioni dei Pangloss di ieri e di oggi, sono esattamente uguali. Se viviamo nel migliore dei mondi possibili non è il caso di agitarsi, che dico neanche di muovere un sopracciglio... fa dire Voltaire a Pangloss. E' vero questo è il peggiore dei mondi possibili, ma le cose vanno così ed è perfettamente inutile agitarsi, che dico muovere solo un sopracciglio, anche perché le cose potrebbero andare peggio.... sostengono oggi le vestali dei conformismi da giornali e talk shows.
A contraddire Pangloss vennero i lumi e i grandi Utopisti - Etienne Cabet, Saint-Simon, Fourier, Owen e non ultimo Carlo Marx - e dopo gli utopisti, le grandi rivoluzioni dell'800 e del '900 che trasformarono i modi di produzione, liberando immani energie e consentendo la trasformazione del mondo in quello che oggi conosciamo.
A contraddire i Pangloss di oggi non ci sono lumi all'orizzonte né Utopisti e Utopie. Non perché non se ne senta il bisogno, se è vero come è vero che uomini e donne, oggi più che mai, fuggono dagli orrori e dall'oppressione della vita reale per cercare ad ogni costo un paradiso qualsiasi. Sia esso quello antico, sempre promesso e mai mantenuto dalle religioni di tutti i paesi e di tutti i tempi, siano le droghe o gli stupidari virtuali, dalle isole dei reality TV a Second Life del web.
Ma le Utopie non sono mai state né hanno mai preteso d'essere paradisi o fughe, bensì progetti e proposte per risolvere i problemi della specie considerata come comunità. Da quelli della produzione per rispondere ai bisogni materiali e alla penuria, a quelli della coesione sociale e delle relazioni tra individui generi e classi sociali.
Fa sorridere oggi la lettura delle "meraviglie" scientifiche e tecnologiche descritte nelle Utopie del passato così come fanno sorridere i "fiumi di latte e miele" così simili agli spot del Mulino Bianco. L'homo economicus occidentalis ha risolto gran parte dei problemi materiali a partire da quelli legati alla sussistenza. Oggi anche un "povero" nordamericano o europeo vive (mangia, dorme, beve, si veste, si sposta, parla con gli altri, si ripara e si cura) di gran lunga meglio di un qualsivoglia "signore" del medioevo. In effetti la capacità produttiva raggiunta dalla specie umana, se fosse possibile considerarla globalmente come capacità produttiva della comunità umana, è tale che i problemi legati alla sussistenza potrebbero essere già risolti per tutti gli abitanti della terra e non solo per gli europei e i nordamericani.
Non fa invece per niente sorridere l'altissimo grado di coesione sociale, di armonia, e di benessere descritto dagli utopisti. Quello nel felice paradiso capitalistico non solo è di là da venire, ma si è allontanato di molto.
Perché, ed è questo il guaio, nel duemila non esiste una comunità umana globale, a dispetto dei fiumi d'inchiostro che si versano sul globalismo, e non esiste nessuna comunità tout court, né piccola e né grande. La specie umana del terzo millennio è organizzata sulla base di una competizione (guerra) di tutti contro tutti, un homo homini lupus che oggi si è esteso a tal punto, nel tempo e nello spazio, da diventare anche guerra (distruttiva) contro le altre specie animali e vegetali e contro tutti gli esseri viventi del futuro.
Questo tipo di organizzazione ha prodotto e continua a produrre, in una folle progressione geometrica, progressi, ricchezze e poteri immani ma, anche e soprattutto, guerre, ingiustizie, paure, vessazioni, persecuzioni, dominazioni, corruzioni, delitti, prevaricazioni, disastri culturali, genetici, ambientali in misura tale da pregiudicare la sopravvivenza stessa della vita e del pianeta e che fanno invidiare la vita tranquilla del servo della gleba medievale.
Oggi la sfida per gli utopisti (una specie in estinzione se non già estinta) è quella di pensare, prefigurare un nuovo tipo di organizzazione dei rapporti tra gli individui e la specie, intesa come comunità umana del passato del presente e del futuro. Un rapporto tra la specie umana e le altre forme di vita e un rapporto di tutte le forme di vita col pianeta e con l'universo visto che sia pure in una misura infinitesimale siamo già in grado di interagire con esso.
Sento già protestare come sempre: ma cosa sono queste fumisterie? Che centra l'utopia con la proposta di legge regionale sul turismo, con la vicenda Telcal e Nicola Adamo, con i lavavetri e il fantomatico decreto Amato sulla sicurezza?
C'entra per almeno due motivi. Primo perché il battito d'ali di una farfalla in Asia è capace di creare un uragano nell'altra metà del mondo e poi perché se sognare pensare e descrivere una Nuova Comunità è compito della cultura e dell'arte, trovare le strade per arrivarci è invece un compito della politica.
Di una politica che deve ritrovare il significato nobile di dibattito sui destini della comunità quando oggi è, nel migliore dei casi, rissa continua per la difesa degli interessi personali, di botteghe e di parrocchia.
Purtroppo non sembrano andare verso questa strada né gli esperti di alchimie contabili che propongono un improbabile cambiamento traghettando un intero ceto politico vecchio e screditato nel "nuovo" Partito Democratico, né i concionatori domenicali di convegni che propongono la "cosa rossa" che è qualcosa di talmente ambiguo ed indefinito da essere innominabile.
Resta il popolo dei blog e dei delusi dai partiti (soprattutto di sinistra) il popolo dei girotondi, delle manifestazioni per la pace, gli antiglobalisti e gli ambientalisti, quelli delle associazioni e del no profit, e il popolo ben più grande dei giovani laureati e diplomati che il sistema produttivo minaccia di precarizzare a vita, dei giovani meridionali ai quali il sistema politico ha già posto l'alternativa “emigrare o morire”. Un'area che è ben più vasta delle poche centinaia di migliaia di cittadini che l'8 settembre con Beppe Grillo hanno gridato il sonoro vaffanculo alla casta politica.
Quasi per esorcizzarla i politici di centro di destra e di sinistra l'hanno chiamata antipolitica.
Antipolitica il piffero!!! Questa è l'ITALIA DEI CITTADINI che ha posto e continua a porre un programma politico minimo preciso. Giustizia sociale, diritti di cittadinanza, diritto a un lavoro vero, rispetto dell'ambiente, rifiuto della guerra, rifiuto delle mafie, della corruzione e delle collusioni, riconquista del diritto alla partecipazione politica. Che non è poco in un'Italia dove ai cittadini si è tolto perfino il diritto di voto. Sarebbe quasi una rivoluzione.
Beppe Grillo propone Liste Civiche alle quali lui darebbe il bollino.
Quali liste civiche?
Quale bollino?
Con le liste civiche non si va da nessuna parte.
La Prima Repubblica nata bene vissuta così così è morta nella vergogna di tangentopoli. La seconda Repubblica non solo non ha risolto niente ma nella corruzione e nella maneggioneria ci ha sguazzato fin dalla nascita. Forse è arrivata l'ora di incominciare a pensare alla terza Repubblica. La Repubblica dei cittadini. Sarà un percorso lungo e difficile che probabilmente avrà bisogno di strumenti nuovi e complessi. E’ poco, ma da qui si può incominciare.
Aspettando l’Utopia

Antipolitico sarà lei e tutta la sua razza!

Antipolitico sarà lei e tutta la sua razza!
In seguito alla manifestazione di Beppe Grillo si moltiplica nei talck-shows la guerra alla cosiddetta antipolitica. Questo articolo l'ho scritto in maggio e pubblicato sul blog The Sordo a giugno. Direi che è attualissimo.
di Mimmo Loiero

Antipolitica! Ecco l'anatema, la maledizione, la scomunica, il nuovo fantasma che in questo ultimo periodo la casta politica italiana ha risvegliato per tentare di mettere una pezza davanti alle vergogne che lentamente si stanno palesando agli occhi dei cittadini. L'anatema dell'antipolitica, sibilato con rabbia nelle interviste e ai talk shows, lanciato con veemenza ai convegni, alle parate e ai congressi di partito, sussurrato sottovoce nelle piccole e grandi stanze dei bottoni, colpisce senza distinzione in basso e in alto a destra e a sinistra. Colpisce il presidente di Confindustria Montezemolo che, pur essendo stato nutrito fin dalla nascita con biberon di denaro pubblico, osa denunciare i fannulloni dei ministeri, colpisce Pippo Callipo che stigmatizza la mafia con la penna in Calabria, colpisce i giovani delle consulte e delle associazioni che sputtanano arroganze e corruzioni di ordinaria follia, colpisce i pochi sindacalisti che, semel in anno, osano mettere in piazza qualche schifezza, e soprattutto colpisce giornalisti come la Gabanelli di Report o Iacona di Pane e politica che fanno inchieste, invece di fare la corte ai potenti.
L'anatema è anche utilizzato in tutt'Italia, dopo la riforma elettorale che stabilisce la dittatura dei vertici, come una minaccia contro le migliaia di militanti residui, ieri espulsi dai partiti e dalla politica perché malpancisti, perché assemblearisti, perché partecipazionisti, perché autonomi, perché antimazzetta e quindi inaffidabili, oggi semplicemente perché non c'è più bisogno di militanti, di quadri, di partecipazione, di confronti ma semplicemente di affiliati.
Antipolitico non è una condanna culturale. Come ogni anatema significa messa all'indice, esclusione, condanna senza appello e senza possibilità di difesa. E non sarebbe neanche una minaccia vuota in una Italia dove la casta politica rappresenta più del 40% del PIL (prodotto interno lordo) e in alcune regioni come la Calabria almeno il 90%. Dove ognuna delle centinaia di migliaia di cariche ed incarichi nelle istituzioni, ognuno dei milioni di posti di lavoro pubblici, parapubblici e paraprivati, ognuno dei miliardi di euro di contributi, forniture, appalti, acquisti sono controllati, spartiti e lottizzati. Dove non c'è settore (scuola, sanità, agricoltura, industria, artigianato, finanza, spettacolo, ambiente, forze armate, polizie, turismo...) che non sia in qualche modo infiltrato e spesso totalmente dominato dalla longa manus della casta politica.
Eppure la condanna oggi sembra un'arma un po' spuntata perché si sta facendo strada nell'opinione pubblica la sensazione che così non si può andare avanti, che non ce lo possiamo più permettere. La sensazione nasce soprattutto dall'impietoso confronto dell'Italia con gli altri paesi europei ed extraeuropei che mostra un paese con un ceto politico numeroso e vorace come un esercito di cavallette, assolutamente incapace di rinnovarsi e riformarsi, incapace persino di porsi il problema. Anche perché è un ceto politico, quello della cosiddetta seconda repubblica, che non ha idealità e valori al di fuori della propria sopravvivenza. Un ceto, o meglio una casta, nata, cresciuta e pasciuta, da una parte sulla fine della guerra fredda, il grande scontro ideologico, culturale ed economico tra USA e URSS e dall'altra sulla sconfitta del sessantotto e dei movimenti radicali della seconda metà del novecento e, infine, sulla sconfitta di Manipulite e dei movimenti giacobini delle città di fine secolo.
Queste sconfitte non si possono comprendere a fondo se non si ha presente il vero potere della casta politica italiana. L’état c'est moi può dire, ben più di Luigi XIV, il ceto politico di questo paese dove non esistono strutture istituzionali autonome, non esiste per esempio una burocrazia con una sua propria dignità e capacità. Il ceto politico in Italia è lo stato, ma è anche la cultura, i trasporti, la comunicazione, l'economia, la giustizia, l'esercito, le mafie... se si considerano le interconnessioni, mediate dal denaro pubblico, dall'occupazione delle cariche, dagli appalti e dai concorsi truccati.
Per capire il potere del ceto politico in economia basta pensare ai conflitti di interessi (quello di Berlusconi è solo il più vistoso) che nessuno dei partiti vuole affrontare davvero, proprio perché malati essi stessi della stessa malattia. Basta pensare alla cosiddetta privatizzazione risoltasi in un colossale mercato delle vacche dove alla fine i patrimoni dello stato sono diventati patrimoni degli amici. Telefoni, ferrovie, energia, industria di stato sono diventati occasioni di affari colossali, tangenti altrettanto colossali e un altrettanto colossale aumento di potere e di influenza non dei partiti che tendono a diventare gusci vuoti. C'è un altro elemento da considerare che spiega molto bene la composizione sociale della "casta" e la corsa a fare il politico. In Italia la politica non dà onore, non dà prestigio, non dà autorevolezza, dà molto poco potere di modificare la realtà, dà invece (molti e subito) soldi, potere di gestione e impunità.
Contro tale potere il lavoro dei magistrati appare veramente inadeguato visto che riescono solo ad iniziare, relativamente pochi procedimenti, che spesso finiscono nel porto delle nebbie o in assoluzioni per scadenza dei termini. Nè comunque indagini, rinvii a giudizio e condanne influiscono sulla "carriera" dei singoli politici se è vero come è vero che nel parlamento siedono decine di condannati definitivi, se è vero come è vero che al consiglio regionale calabrese sono per quasi la metà sotto processo per reati come la corruzione, l'abuso, la collusione mafiosa.
Non c'è speranza quindi?
Al contrario. Oggi, molto più che nei decenni trascorsi, un movimento che si ponga l'obiettivo di un rinnovamento radicale del ceto politico italiano, ha molte probabilità di riuscita. Perché c'è l'Europa, perché non c'è più né l'Unione Sovietica né la Cina di Mao e neanche l'America di Kennedy, perché c'è internet, perché agli italiani comincia a passare anche la "cotta" per Berlusconi.
Ha probabilità purché non si limiti alla denuncia della questione morale, ma elabori e adotti invece un programma di governo per risolvere i problemi più gravi portando una buona dose di innovazione nel paese e purché riesca a fare l'operazione culturale di ribaltare l'accusa di antipolitica.
La parola politica significa governo della città, della comunità, e se c'è qualcosa che si può chiamare antipolitica, è proprio la corruzione, l'interesse privato, l'occupazione abusiva (in quanto non per merito ma per tessera) di cariche pubbliche e posti di lavoro a tutti i livelli, la collusione con le mafie, lo sciupio delle risorse della comunità, l'incuria ed il disinteresse nei confronti dei bisogni dei cittadini...
La politica è uno strumento potentissimo ed efficace, forse il migliore che l'umanità abbia forgiato, per migliorare la vita delle comunità, per progredire, per evitare lo scontro diretto e violento dei bisogni e delle ambizioni individuali e portarli ad una sintesi accettata se non condivisa. E il delitto più grave del ceto politico è stato proprio quello di assassinare il significato della parola politica, stravolgerlo al punto da farlo diventare il contrario.

Agazio Loiero fa fuori tutti i concorrenti. Quater Quater

Agazio Loiero fa fuori tutti i concorrenti. Quater Quater
di Mimmo Loiero

Rabbia e frustrazione sono le parole che meglio descrivono la condizione dei calabresi questo inverno duemilaeotto. Rabbia e frustrazione per i ragazzi senza futuro che in decine di migliaia escono dalle università e vanno a spendere la loro laurea nei call center e nei pubs del nord. Rabbia e frustrazione per una crisi economica che non demorde e che si mangia i (pochi) risparmi e persino le pensioni dei nonni. Rabbia e frustrazione per lo stipendio che (quando c'è e per molti proprio non c'è) non basta ad arrivare a fine mese. Rabbia e frustrazione per i nuovi debiti che si è costretti a fare, per i servizi che non ci sono, che hanno cancellato (treni e uffici postali), e che quando ci sono non funzionano o funzionano male come sempre e peggio di sempre(vedi la sanità). Rabbia e frustrazione per uno sviluppo sempre promesso e mai mantenuto, per i soldi dell'Europa che dovevano finanziare il decollo, garantire le infrastrutture e hanno finanziato i clan politici e mafiosi. Rabbia e frustrazione per un turismo che si allontana sempre di più (anche solo come speranza) perché i depuratori non funzionano nonostante i soldi spesi, perché la regione ha il maggior numero di morti ammazzati e di mafiosi e i peggiori trasporti d'Europa, perché (soprattutto) il turismo è servito solo come alibi per palazzinari e prenditori professionisti di fondi pubblici e sovvenzioni.
Rabbia e frustrazione che, non esplode, ma marcisce e degenera nella depressione e nella sfiducia totale, per la malapolitica, per la decadenza delle istituzioni e (sopratutto e prima di tutto) per l'inadeguatezza morale politica e culturale del ceto politico regionale a pensare redigere proporre e realizzare un qualsivoglia progetto di rinascita.
Di tutto questo (sentimento dei calabresi - problemi concreti - progetti di soluzione) non vi è assolutamente traccia nei comunicati ufficiali, nelle dichiarazioni, nelle interviste che hanno accompagnato il "varo" della quarta giunta regionale di Agazio Loiero governatore delle Calabrie per grazia di Dio e volontà dei calabresi che un paio di anni fa lo hanno subissato di voti e di speranze.
Comunicati, dichiarazioni, interviste (di maggioranza e opposizione senza distinzione alcuna di linguaggio e di contenuti) parlano, in politichese stretto, per raccontare di esclusioni, di ritorni, di rese dei conti, di ricatti, di spartizioni, di contestazioni formali e giuridiche, tutte interne agli interessi di correnti, di partiti, di gruppi clan e famiglie che compongono l'attuale quadro politico regionale.
A decrittare in linguaggio comprensibile le dichiarazioni, la nuova giunta sarebbe il risultato di nuovi equilibri nati essenzialmente dopo le "primarie" del Partito democratico con, in più, un... riequilibrio delle cariche tra le diverse province.
Invece è un mezzo scompiglio. Un mezzo ciclone che fa fuori in un colpo solo Nicola Adamo, Doris Lo Moro e Sandro Principe. E fa entrare degli outsiders (uno è un rientro).
Una giunta nuova come un mezzo terremoto. Per fare cosa?
Ed ecco la composizine della nuova giunta. La quater in poco più di due anni.
Vincenzo Spaziante: Vice Presidente senza deleghe
Vincenzo Spaziante, veneto, quasi sessanta anni, formazione Olivettiana, dirigente generale della Ragioneria Generale dello Stato, Vice Capo del Dipartimento della Protezione Civile e già Assessore al Bilancio nella giunta scorsa. La sua nomina a Vice governatore viene considerata "irregolare" perché membro esterno non eletto dai cittadini.
Domenico Cersosimo: Ricerca Scientifica
E' la vera novità di questa giunta. Giovane e brillante economista calabrese. Laureato, ricercatore e docente alla Università della Calabria. Ha fatto parte del gruppo di ideazione e progettazione del Parco scientifico e tecnologico della Calabria ed è stato assessore al comune di Cosenza. Ha una conoscenza approfondita della struttura produttiva calabrese e meridionale "Nel Meridione il sottosviluppo è la regola, lo sviluppo l'eccezione" - ama ripetere - Autore di pubblicazioni e saggi sullo sviluppo locale e l'economia del meridione.
Francesco Sulla: Attività produttive
Eletto nelle liste dei Ds, 53 anni, assessore ai Servizi sociali e alle attività produttive di Cutro, nella Cgil regionale è stato responsabile industria e settori produttivi, del mercato del lavoro, della cooperazione e della formazione. Dal 1990 al 2001 ha fatto parte del Comitato di gestione provinciale dell'Inps, prima di Catanzaro e poi di Crotone. Per cinque anni, è stato componente della Commissione Regionale per l'Impiego della Calabria e consulente, a Bruxelles, del Comitato delle Regioni.
Demetrio Naccari Carlizzi: Bilancio e Patrimonio
Quarantenne, eletto nella Margherita è stato assessore alle Infrastrutture e ai Trasporti nella seconda Giunta Loiero e vicepresidente del Consiglio regionale. E stato anche vice Sindaco e Assessore all'Organizzazione Risorse Umane col compianto sindaco reggino Falcomatà.
Liliana Frascà: Riforme e Personale
Diessina è l'unica donna della giunta. Lunga carriera sindacale all'interno della Cgil. Segretaria provinciale della Federbraccianti-Cgil di Reggio Calabria e successivamente dirigente regionale e nazionale. Ha concorso a costituire l'associazione "Donne contro la mafia"
Diego Tommasi: Ambiente e Protezione Civile
Eletto nella lista dei Verdi, è stato eletto consigliere comunale di Rende. Si è occupato soprattutto delle problematiche legate alla raccolta differenziata. Vice presidente del Coni per la provincia di Cosenza, è nel Consiglio federale nazionale della FIPSAS.
Mario Pirillo: Agricoltura e Foreste
Mario PIRILLO sessantenne è stato assessore comunale di Amantea nella DC. Presidente dell'USL di Amantea. Consigliere regionale dal 1990. Assessore al Bilancio e Vice Presidente nella Giunta Nisticò. 1999 viene nominato Assessore Regionale all'Agricoltura. Nel 2002 passa alla "Margherita" e nel 2005 ha aderito al Pdm.
Luigi Incarnato: Infrastrutture e Lavori Pubblici
Socialista Luigi INCARNATO è nato a Cosenza nel 1956. Sindacalista dell'Uil, per la quale ha curato i settori del Commercio e dei servizi del pubblico impiego, della forestazione e dell'agro alimentare.
Pasquale Tripodi: Turismo e Beni Culturali
Pasquale TRIPODI è del 1957. Segretario della sezione DC e poi sindaco di Bova Marina fino al 2000. Con Loiero è stato assessore ai trasporti, alle Attività Produttive e ora al turismo.
Michelangelo Tripodi: Urbanistica e gestione del Territorio
Nato il 20 Agosto 1956, Segreteria Provinciale della FGCI, Segretario della Sezione PCI "Ciccio Morabito" di Sbarre e poi entra nell'Esecutivo cittadino e provinciale del PCI.Tra i fondatori del Partito della Rifondazione Comunista, viene eletto Consigliere Regionale nel '95 e assessore al lavoro nel 1999 Dal 2 maggio 2005 è Assessore all'Urbanistica e al Governo del Territorio.
Mario Maiolo: Programmazione nazionale e comunitaria
Cosentino, eletto nella Margherita è autore di numerose pubblicazioni scientifiche nel campo delle Costruzioni Idrauliche e dell'Ingegneria Ambientale. Proviene dalla Democrazia Cristiana ed è stato Vice Presidente della Provincia di Cosenza.
Le deleghe alla Sanità e al Lavoro rimarranno in capo al Presidente Loiero che avrà l'imprenditrice Pina Amarelli come consulente speciale per la promozione sociale, economica e culturale della regione.
Rimane Vincenzo Falcone agli Affari della Presidenza mentre l'ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio e lo stilista Santo Versace che nella precedente Giunta erano advisors (lanciati come una grande innovazione che nessuno ha mai capito cosa fosse e di cui nessuno ha mai saputo niente), faranno parte di un Comitato etico da costituire (non si sa assolutamente come e perché).
Questa la squadra presentata da Agazio che, non solo non si pronuncia sulla situazione sociale e sulla crisi economica della regione, ma glissa, con nonchalance, anche su tutti gli aspetti politici che non sono cosa da poco.
Sconvolgimenti da fare faville se solo la Calabria non fosse definitivamente spenta.
Rifondazione Comunista è uscita dalla giunta qualche mese fa. La crisi non è servita a ricucire lo strappo, se mai ce ne fosse stata l'intenzione, anzi i vertici del partito calabrese dichiarano che se si esclude la presenza di Mimmo Cerzosimo, questa squadra non presenta alcun segno di novità e, meno che meno, di quella inversione di tendenza necessaria ad affrontare la crisi della regione.
L'esclusione dalla giunta di Adamo, Lo Moro e Principe non può essere liquidata come ricambio naturale... cosetta da niente e le motivazioni espresse da Loiero, senza imbarazzo, sembrano pezze a colori che evidenziano più che nascondere le magagne. Sicuramente si avranno ripercussioni nel futuro. Si tratta dell'azzeramento di un sistema di potere che arriva, non a caso, in seguito alle inchieste giudiziarie sulla malapolitica in cui si trova impantanato l'ex vicepresidente Adamo, dopo le lunghe e tremende polemiche sul sistema sanitario regionale nel cui ambito solo due anni fa avvenne l'assassinio mafioso dell'ex vicepresidente del consiglio Franco Fortugno, dopo il terremoto provocato dalla nascita del Partito Democratico Calabrese che ha fatto franare vecchi equilibri.
La "nuova" suddivisione di incarichi non ha placato per niente l'appetito di gruppi e consorterie che costituiscono il magma ribollente del centrismo calabrese. L'Udeur ha dichiarato, senza mezzi termini, la sua insoddisfazione. E' facile prevedere la continuazione delle guerre di spartizione che hanno contrassegnato tristemente la Calabria tutti questi anni ed in particolare questi ultimi anni di governo del centrosinistra.
Ma tutto questo non sembra proprio preoccupare Agazio Loiero galleggiante e pimpante come non mai. Meno ancora sembra preoccuparlo l'opposizione di centrodestra che nell'occasione riesce a malapena a balbettare obiezioni di illegittimità alla nomina del vicepresidente promettendo improbabili guerre in consiglio.
Nella sua campagna elettorale Agazio Loiero raccontava in ogni occasione che "Bisognava rivoltare la Calabria come un calzino". Probabilmente non si riferiva alle capacità produttive della regione, alla mancanza cronica di servizi e opportunità, al bisogno di legalità pulizia ed efficienza dei Calabresi per bene, alle speranze di riscatto dei giovani dilavate e scolorite come i manifesti di Oliviero Toscani. il presidente non vive né le speranze, né i bisogni della maggioranza dei calabresi. Lui vive nella casta e probabilmente solo la casta voleva rivoltare. Se è così con questa nuova giunta il calzino è, almeno in parte rivoltato. Non è comunque un bello spettacolo.
Auguri.

Basta soldi alla Calabria!

Basta soldi alla Calabria!
di Mimmo Loiero

CALABRESI PRIMI!
negli omicidi

Ecco la classifica nazionale per province: al primo posto Catanzaro, al secondo posto Reggio Calabria, solo al al terzo sta Nuoro e poi Caserta, ma tra le prime dieci abbiamo ancora Vibo Valentia al sesto posto e Crotone all'ottavo. Cosenza, ultima tra le province calabresi si piazza si piazza solo al trentaduesimo posto.
La classifica, ahinoi, riguarda gli omicidi e riguarda i dati del 2006 pubblicati dal ministero degli interni. I dati riguardano un pò tutti i delitti relativi alla "sicurezza" e quindi anche i delitti contro il patrimonio e quindi scippi, borseggi, furti in abitazione dove invece andiamo malissimo. recuperiamo però, nonostante una flessione tremenda, nelle rapine dove Reggio conquista un buon ventesimo posto. Come dire che a noi calabresi della "robba" non ce ne frega niente se solo possiamo scannarci come vogliamo.

CALABRESI ULTIMI!
nella qualità della vita

La classifica è tra le città Italiane, proviene da Altroconsumo e ci vede all'ultimo posto con Reggio Calabria superata anche da Bari, Napoli e Palermo. I dati, anche questi pubblicati nel 2007, riguardano il 2006 La classificaè basata su parametri come la sicurezza e la lotta contro la criminalità ma anche sull'occupazione, i trasporti, il costo della vita etc. Al primo posto della classifica c'è Trento seguita da Bolzano, Aosta, Trieste, Bologna e Perugia.

E' LA FILOSOFIA DEL PEZZENTE?
La Calabria comunque non ultimeggia solo in Italia. Proprio quest'anno ha conquistato il titolo di ultima regione d'Europa. Molti politici e media regionali hanno commentato:
- Meno male così continuiamo a prendere i contributi europei per le regioni disastrate! -
E' la "filosofia del pezzente" che i politici calabresi hanno da sempre esibito scappellandosi con tutti i governi? No i contributi europei per questa "classe dirigente politica" sono vitali. Servono per comprare il consenso nella regione e per pagare le cariche e la protezione ai grandi capi di Roma. Protezione da qualche magistrato che ha stomaco e palle per indagare sui depuratori inesistenti, sulle fabbriche mai nate, sui soldi rapinati in mille modi dai politici e dalle mafie con la coppola e coi colletti bianchi, blu, rosa e marrone.

BASTA CONTRIBUTI AL SUD!
Beppe Grillo è andato a Bruxelles per implorare che non vengano più erogati contributi alle regioni del sud Italia ché tanto non arrivano perché se li mangiano per strada. I calabresi dovrebbero appoggiare questa richiesta e non solo per ché tanto di quei soldi non sentirebbero neanche l'odore, ma soprattutto perché i contributi (europei e statali) sono serviti per mandare al potere ladri, incapaci e mafiosi che possono essere scalzati solo se gli viene a mancare l'alimento di base.

venerdì 15 giugno 2007

Un’Altra Italia è possibile

Contro sprechi privilegi
e malapolitica
Un’Altra Italia
è possibile


Giornata di mobilitazione e di lotta
contro la corruzione e il degrado della politica
Per la rinascita di una democrazia vera
Per il ricambio e la mobilità delle classi dirigenti.
30 settembre 2007

La giornata di mobilitazione e di lotta ha l’intento di:
- denunciare e mettere in evidenza gli innumerevoli episodi di spreco e privilegio che condizionano la vita politica italiana e bloccano di fatto l’accesso alla direzione del paese delle forze più innovative e riformatrici (i giovani e le donne).
- promuovere attività legislativa di iniziativa popolare per:

1) Regolare i tutti i conflitti di interesse nel senso che chi si candida a governare o amministrare la cosa pubblica deve risolverli prima.

2) Stabilire che chi è stato condannato, anche solo in primo grado, per un reato che contempli come pena, anche solo accessoria, la prigione, non possa ricoprire cariche elettive né incarichi di governo e amministrativi a nessun livello.

3) Abolire, puramente e semplicemente, con referendum il porcellum elettorale.

4) Ridurre gli emolumenti massimi (comprensivi di ogni tipo di indennità) di ogni carica ed incarico elettivo e di ogni carica dello stato e quindi di ogni altro ente pubblico locale e nazionale a non più di cinque volte il salario medio.

5) Vietare in maniera tassativa ad ogni persona di avere più di un incarico o carica pubblica soprattutto se alla carica viene associata una qualsivoglia remunerazione. Vietare comunque l'accumulo di remunerazioni pubbliche di ogni tipo (pensioni, indennità, stipendi etc.) quando tale accumulo risulti superiore a cinque volte lo stipendio medio di un lavoratore.

6) Predisporre una legge sul finanziamento pubblico dei partiti che finanzi non le persone e gli apparati, ma l'attività politica (sezioni territoriali, manifestazioni politiche, pubblicazioni e propaganda) e stabilisca la pubblicità delle assemblee e delle liste degli iscritti e le elezioni primarie per ogni tipo di elezioni.

7) Stabilire la imprescrivibilità dei reati relativi alla amministrazione pubblica (corruzione, abuso, collusione etc)

8) Stabilire che nessuna carica pubblica o mandato possa essere detenuta dalla stessa persona per più di otto anni o due mandati.

9) Stabilire per legge la incompatibilità assoluta e ad ogni livello e per ogni ente tra le cariche di tipo legislativo di controllo e le cariche amministrative e di governo. E’ semplicemente assurdo che chi emana provvedimenti abbia la possibilità di votarseli e perfino di votare sul controllo del proprio operato.

10) Promuovere la incompatibilità tra gli incarichi di governo/amministrazione ad ogni livello e la direzione di partito. Chi governa o amministra deve farlo nel nome di tutti e non nel nome della propria parte politica.

Un’Altra Italia è possibile
dipende da noi

info: http://thesordo.blogspot.com/

Antipolitico a chi?

Antipolitica! Ecco l'anatema, la maledizione, la scomunica, il nuovo fantasma che in questo ultimo periodo la casta politica italiana ha risvegliato per tentare di mettere una pezza davanti alle vergogne che lentamente si stanno palesando
agli occhi dei cittadini.
di Mimmo Loiero

Antipolitica! Ecco l'anatema, la maledizione, la scomunica, il nuovo fantasma che in questo ultimo periodo la casta politica italiana ha risvegliato per tentare di mettere una pezza davanti alle vergogne che lentamente si stanno palesando agli occhi dei cittadini. L'anatema dell'antipolitica, sibilato con rabbia nelle interviste e ai talk shows, lanciato con veemenza ai convegni, alle parate e ai congressi di partito, sussurrato sottovoce nelle piccole e grandi stanze dei bottoni, colpisce senza distinzione in basso e in alto a destra e a sinistra. Colpisce il presidente di Confindustria Montezemolo che, pur essendo stato nutrito fin dalla nascita con biberon di denaro pubblico, osa denunciare i fannulloni dei ministeri, colpisce Pippo Callipo che stigmatizza la mafia con la penna in Calabria, colpisce i giovani delle consulte e delle associazioni che sputtanano arroganze e corruzioni di ordinaria follia, colpisce i pochi sindacalisti che, semel in anno, osano mettere in piazza qualche schifezza, e soprattutto colpisce giornalisti come la Gabanelli di Report o Iacona di Pane e politica che fanno inchieste, invece di fare la corte ai potenti.
L'anatema è anche utilizzato in tutt'Italia, dopo la riforma elettorale che stabilisce la dittatura dei vertici, come una minaccia contro le migliaia di militanti residui, ieri espulsi dai partiti e dalla politica perché malpancisti, perché assemblearisti, perché partecipazionisti, perché autonomi, perché antimazzetta e quindi inaffidabili, oggi semplicemente perché non c'è più bisogno di militanti, di quadri, di partecipazione, di confronti ma semplicemente di affiliati.
Antipolitico non è una condanna culturale. Come ogni anatema significa messa all'indice, esclusione, condanna senza appello e senza possibilità di difesa. E non sarebbe neanche una minaccia vuota in una Italia dove la casta politica rappresenta più del 40% del PIL (prodotto interno lordo) e in alcune regioni come la Calabria almeno il 90%. Dove ognuna delle centinaia di migliaia di cariche ed incarichi nelle istituzioni, ognuno dei milioni di posti di lavoro pubblici, parapubblici e paraprivati, ognuno dei miliardi di euro di contributi, forniture, appalti, acquisti sono controllati, spartiti e lottizzati. Dove non c'è settore (scuola, sanità, agricoltura, industria, artigianato, finanza, spettacolo, ambiente, forze armate, polizie, turismo...) che non sia in qualche modo infiltrato e spesso totalmente dominato dalla longa manus della casta politica.
Eppure la condanna oggi sembra un'arma un po' spuntata perché si sta facendo strada nell'opinione pubblica la sensazione che così non si può andare avanti, che non ce lo possiamo più permettere. La sensazione nasce soprattutto dall'impietoso confronto dell'Italia con gli altri paesi europei ed extraeuropei che mostra un paese con un ceto politico numeroso e vorace come un esercito di cavallette, assolutamente incapace di rinnovarsi e riformarsi, incapace persino di porsi il problema. Anche perché è un ceto politico, quello della cosiddetta seconda repubblica, che non ha idealità e valori al di fuori della propria sopravvivenza. Un ceto, o meglio una casta, nata, cresciuta e pasciuta, da una parte sulla fine della guerra fredda, il grande scontro ideologico, culturale ed economico tra USA e URSS e dall'altra sulla sconfitta del sessantotto e dei movimenti radicali della seconda metà del novecento e, infine, sulla sconfitta di Manipulite e dei movimenti giacobini delle città di fine secolo.
Queste sconfitte non si possono comprendere a fondo se non si ha presente il vero potere della casta politica italiana. L’état c'est moi può dire, ben più di Luigi XIV, il ceto politico di questo paese dove non esistono strutture istituzionali autonome, non esiste per esempio una burocrazia con una sua propria dignità e capacità. Il ceto politico in Italia è lo stato, ma è anche la cultura, i trasporti, la comunicazione, l'economia, la giustizia, l'esercito, le mafie... se si considerano le interconnessioni, mediate dal denaro pubblico, dall'occupazione delle cariche, dagli appalti e dai concorsi truccati.
Per capire il potere del ceto politico in economia basta pensare ai conflitti di interessi (quello di Berlusconi è solo il più vistoso) che nessuno dei partiti vuole affrontare davvero, proprio perché malati essi stessi della stessa malattia. Basta pensare alla cosiddetta privatizzazione risoltasi in un colossale mercato delle vacche dove alla fine i patrimoni dello stato sono diventati patrimoni degli amici. Telefoni, ferrovie, energia, industria di stato sono diventati occasioni di affari colossali, tangenti altrettanto colossali e un altrettanto colossale aumento di potere e di influenza non dei partiti che tendono a diventare gusci vuoti. C'è un altro elemento da considerare che spiega molto bene la composizione sociale della "casta" e la corsa a fare il politico. In Italia la politica non dà onore, non dà prestigio, non dà autorevolezza, dà molto poco potere di modificare la realtà, dà invece (molti e subito) soldi, potere di gestione e impunità.
Contro tale potere il lavoro dei magistrati appare veramente inadeguato visto che riescono solo ad iniziare, relativamente pochi procedimenti, che spesso finiscono nel porto delle nebbie o in assoluzioni per scadenza dei termini. Nè comunque indagini, rinvii a giudizio e condanne influiscono sulla "carriera" dei singoli politici se è vero come è vero che nel parlamento siedono decine di condannati definitivi, se è vero come è vero che al consiglio regionale calabrese sono per quasi la metà sotto processo per reati come la corruzione, l'abuso, la collusione mafiosa.
Non c'è speranza quindi?
Al contrario. Oggi, molto più che nei decenni trascorsi, un movimento che si ponga l'obiettivo di un rinnovamento radicale del ceto politico italiano, ha molte probabilità di riuscita. Perché c'è l'Europa, perché non c'è più né l'Unione Sovietica né la Cina di Mao e neanche l'America di Kennedy, perché c'è internet, perché agli italiani comincia a passare anche la "cotta" per Berlusconi.
Ha probabilità purché non si limiti alla denuncia della questione morale, ma elabori e adotti invece un programma di governo per risolvere i problemi più gravi portando una buona dose di innovazione nel paese e purché riesca a fare l'operazione culturale di ribaltare l'accusa di antipolitica.
La parola politica significa governo della città, della comunità, e se c'è qualcosa che si può chiamare antipolitica, è proprio la corruzione, l'interesse privato, l'occupazione abusiva (in quanto non per merito ma per tessera) di cariche pubbliche e posti di lavoro a tutti i livelli, la collusione con le mafie, lo sciupio delle risorse della comunità, l'incuria ed il disinteresse nei confronti dei bisogni dei cittadini...
La politica è uno strumento potentissimo ed efficace, forse il migliore che l'umanità abbia forgiato, per migliorare la vita delle comunità, per progredire, per evitare lo scontro diretto e violento dei bisogni e delle ambizioni individuali e portarli ad una sintesi accettata se non condivisa. E il delitto più grave del ceto politico è stato proprio quello di assassinare il significato della parola politica, stravolgerlo al punto da farlo diventare il contrario.

mercoledì 2 maggio 2007

Nuovi partiti Vecchia politica

1992. Soverato. Partiti e Movimenti

C'erano una volta i Partiti. Raggruppamenti di uomini e donne, fortemente uniti da una visione comune del bene pubblico.

I partiti, sia che si proponessero di cambiare il mondo sia che cercassero di mantenere lo status quo o di recuperare il passato, analizzavano le situazioni, elaboravano regole di governo, facevano delle previsioni in base alle loro analisi ed erano molto vicini alla gente perché loro stessi erano "la gente".
C'erano una volta i Partiti.
E ci sono ancora.
Occupano il potere, l'amministrazione, l'economia, l'informazione.
Sono dappertutto: nelle USSL come nello spettacolo, nella mafia come nello sport.
Da decenni oramai non elaborano niente, non fanno programmi, hanno rinunciato a cambiare il mondo, non intendono recuperare tradizioni.
Giustificano la propria esistenza con la propria esistenza.
Vivono spesso di tangenti.
Vivono alla giornata.
Si dice che i cittadini si siano allontanati dalla politica.
Non è vero.
Si sono solo allontanati dai partiti.
Ma non possono fare a meno della politica.

Mimmo Loiero - Manifesto di Pedalando Volare. Soverato 1992 -

2000. Cosenza. I Partiti visti da uno che se ne intendeva.

"I partiti politici, dopo la grande crisi degli anni '90, non sono né resuscitati, né rinati, né in grado di formulare programmi convincenti idonei a migliorare la situazione nel Mezzogiorno. Se fossimo tutti più obiettivi diremmo che i partiti politici ... continuano nei loro difetti e non sanno adottare misure che rompano una volta per sempre il loro legame con l'elettoralismo e con le clientele che continuano invece a prosperare e a essere elemento di primo piano nella nostra vita regionale. Forse è sconveniente parlare di quanto avviene all'interno delle istituzioni, dove la vita amministrativa è affidata soltanto alle pratiche di carattere clientelare e la scelta degli uomini si fa in rapporto non alle loro competenze, ma in rapporto al pacchetto di voti di cui sono detentori e che promettono di assicurare per le prossime campagne elettorali."
Giacomo Mancini. Dichiarazione alla commissione Antimafia. Cosenza ottobre 2000

Reggio Calabria 2007. Politica e Calabria

...Non è giusto dire che i calabresi sono stati lasciati soli a combatterla (la mafia ndr), ma a volte viene da pensare che sarebbe stato meglio. Gli aiuti di Stato hanno aiutato soltanto la ‘ndrangheta... Non serve chiedere chi comanda in città. La mafia più ricca del mondo domina senza oppositori la regione più povera d’Europa. Si legge in “Fratelli di sangue”, grande inchiesta sulla ‘ndrangheta firmata dal magistrato Nicola Gratteri e dallo scrittore Antonio Nicaso: “Nel rapporto tra affiliati ai clan e popolazione, la densità criminale in Calabria è pari al 27 per cento, contro il 12 della Campania, il 10 della Sicilia, il 2 della Puglia”. A Reggio Calabria siamo al 50 per cento, significa che una persona su due è coinvolta, a vario titolo, in attività criminali...
Curzio Maltese. La pax della 'ndrangheta soffoca Reggio Calabria. Aprile 2007


NUOVI PARTITI VECCHIA POLITICA

Probabilmente è' vero quello che sostiene Fassino. La nascita del Partito Democratico avrà un peso nella politica italiana. Il matrimonio d'interesse tra i gruppi dirigenti dei DS e della Margherita, mettendo insieme le risorse e i patrimoni dei due contraenti, è destinato a far massa e a spostare equilibri all'interno del ceto politico e nel mercato del consenso. Nel breve periodo è possibile pure che riesca ad ottenere più voti e più potere, se non altro, per una semplice questione di attrazione gravitazionale. E' una possibilità che il centrodestra ha ben presente, se è vero come è vero che sta tornando a riconsiderare modelli di federazione e partito unico.
La nascita del PD non segna invece né un punto di arrivo della crisi dei partiti esplosa con tangentopoli, né, tanto meno, la rinascita della sinistra italiana. Meno che meno ci si può aspettare che il PD possa stimolare un qualsivoglia mutamento positivo nella politica calabrese.
La crisi dei partiti è esplosa con tangentopoli ma non è nata da tangentopoli. E' nata dalle grandi trasformazioni economiche e tecnologiche e, conseguentemente, dalla crisi delle grandi dicotomie di valori che fino agli anni '60- 70 hanno interpretato il mondo: democrazia/dittatura, progresso/conservazione, socialismo/liberalismo. Queste categorie hanno interpretato un mondo che, sia pure con sanguinose contraddizioni, è stato protagonista di una crescita vertiginosa come popolazione, come quantità di risorse, come capacità produttiva. Ma anche come antropizzazione a danno delle altre specie, come inquinamento e produzione di rifiuti, come capacità distruttiva.
Dopo gli anni '70 il mondo ha continuato a trasformarsi e a crescere con la globalizzazione, con l'entrata prepotente nel sistema produttivo delle nuove economie asiatiche, con potenti innovazioni tecnologiche come l'informatica, con la conquista e l'uso dello spazio, con strumenti di comunicazione come internet non immaginati neanche dalla fantascienza più spinta. Anche questa trasformazione non è scevra da contraddizioni terribili: migrazioni bibliche, disastri ambientali, guerre etniche e di religione, nuove ricchezze e nuove povertà. Ma non ci sono, o non sono sufficienti e conosciute, le categorie interpretative per questo mondo nuovo e soprattutto non ci sono partiti che sappiano produrre, acquisire ed utilizzare analisi ed interpretazioni del mondo come armi di critica e strumenti di costruzione sociale
La crisi del '68 aveva messo a nudo in qualche modo la trasformazione di sistema e posto nuove categorie interpretative: femminismo/rapporto con la vita, globalismo/localismo, individuo/comunità, inquinamento/ambientalismo, consumismo/creatività, guerra/pace e la ricerca della felicità come obiettivo politico. I gruppi dirigenti politici soprattutto dei partiti di sinistra, surgelati dalle dialettiche della guerra fredda, irretiti da pratiche corruttive che non risalgono certo agli anni novanta, e minacciati da oscure trame golpiste, non hanno saputo né voluto raccogliere quei segnali, capire ed usare quelle nuove categorie, analizzare le trasformazioni in corso, favorendo così il decadimento dei partiti. Fino al crollo dei muri e delle ideologie, fino allo sputtanamento di tangentopoli.
I partiti di oggi non hanno più niente a che spartire con i partiti dell'ottocento e del novecento, lo dimostra, se fosse necessario, il cinico dibattito sul pantheon del nascente PD, dove si sono messi insieme teste defunte democristiane, comuniste e socialiste al solo scopo di fare cassa e vetrina. I partiti hanno cessato di essere, e perfino di pretendere di essere, strumenti di conoscenza, di elaborazione, di trasformazione. Sono diventati comitati elettorali e strumenti di spartizione/gestione del potere e delle prebende. I politici, leaders e gregari, grandi e piccoli, di destra di centro e di sinistra, con trascurabili eccezioni, hanno da tempo smesso di rappresentarsi come portatori e promotori di idee, progetti e valori. Portano solo il loro interesse, il loro feudo, il loro clan/famiglia, la loro carriera politica o tutt'al più pretendono di rappresentare interessi di strutture economiche, gruppi di poteri, ceti sociali in cambio voti e tangenti, a volte di rappresentare modelli e modi del momento. Da qui il costo abnorme della politica, la corruzione e la contiguità col malaffare, e la corsa al centro, l'omologazione, la noia, la figura del politico piacione e paraculo. Partiti siffatti, politici simili, non hanno bisogno di luoghi di confronto, di spazi di democrazia, di partecipazione, di donne e uomini liberi, di militanti veri. Da qui la morte lenta delle sezioni, la trasformazione del dibattito politico in sceneggiata televisiva e mediatica, la proliferazione delle segreterie personali per la gestione delle clientele.
Questa mutazione genetica dei partiti è più evidente e stride di più nei partiti di sinistra epigoni di strutture che, alla loro nascita, veicolarono utopie, idee e progetti di trasformazione più radicale nel senso della giustizia sociale, dell'uguaglianza della solidarietà, della libertà. La crisi colpisce di più proprio loro, e la nascita del PD, dichiaratamente rivolto al centro, servirà solo ad acuirla. Né potrà far rinascere la sinistra la ventilata ipotesi di una federazione che raccoglierebbe, non si sa con quale collante che non sia la paura dello sbarramento, il partito di Bertinotti il PCDI, i verdi, il già correntone DS ed i socialisti di Boselli. Rinascita della sinistra. Per la verità anche chi lo propone non osa azzardare speranze più ardite di una stentata sopravvivenza all'ombra della bandiera rossa, un semplice tirare a campare per sé, per la propria famiglia e per i propri amici. Amici si fa per dire, che si tratta, per ogni partitino, di considerarne almeno tre o quattro in perpetua rissa. Per un tale patchwork sarebbe difficile perfino trovare un nome figurarsi un progetto, un leader credibile ed accettato, una unità d'intenti.
Quindi niente partito per la sinistra. Ma c'è una sinistra che ha bisogno di un partito? La domanda non è peregrina e può avere almeno due risposte. Se si guarda all'Italia descritta dal teatrino politico-mediatico non c'è bisogno né dell'una e né dell'altro. In Italia si sta bene. Tutti benestanti divisi e uniti solo dalla questione fiscale: da una parte ci sono quelli che non pagano e vogliono pagare di meno, dall'altra quelli che pagano e vogliono pure loro pagare di meno. Tant'é che la misura più radicale del centrosinistra sembra essere l'abolizione dell'ICI. Gli operai non ci sono e se ci fossero sarebbero coccolati da tutti. Problemi? I paparazzi, gli extracomunitari, le veline, Berlusconi, i pedofili...
I giovani? Tutto il giorno appresso ai telefonini non hanno il tempo per decidere se andare dalla De Filippi o al Grande Fratello. Un altro partito? A che serve? L'offerta politica è talmente estesa che ci sono, oramai rappresentati in parlamento, i partiti/persona.
Se si guarda all'italia descritta dai numeri è invece un altro paio di maniche. In Italia si sta male. Milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà, la disoccupazione è altissima soprattutto al sud, soprattutto per i giovani, soprattutto per le donne. Il lavoro nero, diffuso al nord in molti settori economici, è la regola nel sud. Quelli regolarmente occupati, giovani e laureati, lavorano con contratti a tempo e senza garanzie nei call center, nelle fabbriche e nei fast food per salari da fame. Gli incidenti sul lavoro con una media di tre morti al giorno sono i più alti in Europa. Si può però tentare la fortuna siamo tra quelli che spendono più soldi per il gioco d'azzardo o sballarsi con le droghe il sabato sera nelle discoteche per poi schiantarsi all'alba sull'asfalto. In Italia si sta male per l'inquinamento, per la spazzatura sulle strade, perchè non si investe in ricerche, perché abbiamo un ceto politico più numeroso e vorace di tutto l'occidente, perché si trascura e si sciupa l'immenso patrimonio culturale, artistico ambientale, perché c'è chi ha più lavori e chi non ne ha nessuno. chi ha più incarichi e chi non ne ha nessuno, chi ha più pensioni grosse e chi non ne ha neanche una piccola, chi ha tante case e chi non ne ha nessuna. in Italia si sta male per la giustizia che non funziona, per la burocrazia che non funziona, per la scuola che non funziona, per la democrazia che non funziona, per la mafia e la corruzione che invece vanno benissimo. Forse in Italia forse c'è bisogno di un partito di sinistra.
La nascita del PD Potrebbe avere qualche influenza per la politica calabrese. Un partitone di quelle dimensioni potrebbe permettersi una pulizia drastica, quantomeno raggiungere l'obiettivo di allineare il livello del ceto politico e delle strutture calabresi a quello nazionale in termini di efficienza, di moralità, di correttezza politica. Sarebbe già tantissimo in una regione dove non solo non si distingue più tra il politico di destra, di centro e di sinistra, ma non si distingue più neanche tra il politico ed il mafioso.

martedì 10 aprile 2007

Politicante quanto ci costi!

L'International Herald Tribune, in un servizio non propriamente laudativo dei politici italiani ci racconta che a fronte dei 20 – 27.000 euro che si portano a casa i nostri, i deputati francesi prendono al massimo 7.000 e gli svedesi 5.000, i deputati spagnoli costano in totale un sesto di quelli nostri. C'è da dire che i parlamentari italiani oltre ad un così grasso stipendio beccano qualcosa in più: diarie, rimborsi spese per ogni cosa (tragitto casa-stazione o aeroporto, gestione ufficio e segreteria, spese telefoniche, ”occhiali da vista”, carburante, RCA auto, spese postali, spese alimentari, vestiario, indennità di carica, indennità di ufficio, mobilità gratuita per sé e per i propri familiari, tessere gratuite per cinema, stadio, concerto, teatro), tutto ESENTASSE e per un totale che varia dai 20.000,00 (VENTIMILA) ai 27.000,00 (VENTISETTEMILA) euro mensili. Ma non finisce qui. Perché una volta lasciato l'incarico e tornati alla vita normale, si attribuiscono il diritto ad un VITALIZIO che a noi cittadini costa qualcosa come 12.000.000,00 (dodici milioni) di euro al mese in totale e ad una liquidazione pari all'80% dell'importo mensile lordo per ogni anno di mandato. Inoltre maturano la pensione dopo solo 30 mesi di attività quando al normale cittadino non ne bastano 40... di ANNI
Se si passa poi agli europarlamentari la situazione non è diversa. Gli italiani prendono 11.000 euro al mese a cui però vanno aggiunte tutte le spese sostenute, i tedeschi ne prendono 7.000, gli spagnoli 2.900, I lituani 1.200.
Non solo i parlamentari italiani costano di più. Sono anche di più come numero: ben 945 contro i 540 degli USA e i 400 della Russia.
Sono anche tantissimi i livelli istituzionali. Tantissimi i ministri e i sottosegretari (più di cento nel governo Prodi). Tante le regioni e tantissimi i membri dei parlamenti regionali, circa un migliaio e pagati più o meno come i deputati. Almeno 200 gli assessori regionali che si pagano e si comportano come ministri in tutto e per tutto. E poi cento province (a cui si richiede di aggiungerne altre 21)) con un esercito di consiglieri provinciali e di assessori. E poi ci sono 8101 comuni con decine di migliaia di sindaci, consiglieri ed assessori e, dopo i comuni ci sono le circoscrizioni e le 365 comunità montane con relativi eserciti di presidenti, consiglieri ed assessori.
Secondo il giornale citato sono almeno 150.000 gli italiani che prendono stipendi per il loro stare nelle istituzioni e/o nella politica e sarebbero almeno 450.000 le persone che, in generale, si nutrono (nel senso che ci mangiano) di politica.
Fin qui il giornale americano ma facciamo noi qualche conticino.
In tutto farebbero mezzo milione di stipendi. Farebbero come matematica, ma nei confronti della politica anche la matematica sballa. Infatti, nella quasi totalità dei casi, chi di politica ci campa, ha molti incarichi e quindi molti stipendi e molte indennità e molti rimborsi. Non di rado anche diverse pensioni. Tenendosi veramente strettini strettini si potrebbe ipotizzare almeno un esborso annuo dello stato, per stipendi e pensioni ai politici, di qualcosa come una sessantina di miliardi di euro.
La tanto vituperata e criticata finanziaria di quest'anno era di soli 35.
Questi sarebbero solo i costi degli stipendi diretti che percepisce il ceto politico impegnato (si fa per dire) nelle istituzioni e nei partiti. Per immaginare il resto basta pensare che il Quirinale, la sede del Presidente della Repubblica ha 2000 dipendenti. (La Casa Bianca sede del Presidente degli USA ne ha solo 400 e gli impiegati del presidente dell'Irlanda sono solo 12). Che il Governatore della Banca d'Italia prende uno stipendio di un milione di euro l'anno mentre il presidente della Federal Reserve statunitese prende so 180.000. dollari. Tutto questo per non citare il finanziamento pubblico ai partiti (una fesseria, solo 200 milioni di euro l'anno) a cui si aggiunge il rimborso delle spese elettorali (un altro mezzo miliardo).
Ovviamente questi soldi, corrispondenti almeno ad un paio di finanziarie toste all'anno, sono la parte minore del costo della politica. La parte maggiore, il vero costo, che nessuno ha mai osato calcolare, è rappresentato dalla corruzione, ed ancor più dai danni finanziari economici e sociali che produce la corruzione, l'incompetenza, l'interesse privato nella gestione della cosa pubblica.

Onorevoli o disonorevoli?
Teoricamente i parlamentari dovrebbero rispecchiare, almeno grosso modo, la popolazione che li ha eletti. Ci dovrebbero essere i ricchi (e ci stanno), i meno ricchi (e ci stanno), i poveri (e ci stanno solo quelli poveri di spirito), così come ci stanno gli avvocati, i notai, gli insegnanti, i militari ... i pregiudicati. Quanto a questa categoria non c'è problema è veramente ben rappresentata.
Oggi in parlamento siedono:
25 Condannati definitivi
10 prescritti
1 prosciolto per immunità parlamentare
8 condannati in primo grado
17 imputati in primo grado
1 imputato in udienza preliminare
19 indagati in fase preliminare
Farebbero una ottantina di persone con rapporti "organici" con la giustizia. Corrispondono quasi al 10% del totale dei parlamentari e se la popolazione rispecchiasse "gli eletti", ci dovrebbero essere in Italia qualcosa come 6 milioni di pregiudicati o che comunque hanno problemi di carattere penale. Meno male che non è così.
Condannati definitivi:
1. Berruti Massimo Maria (FI): favoreggiamento.
2. Biondi Alfredo (FI): evasione fiscale (reato poi depenalizzato).
3. Bonsignore Vito (Udc): corruzione.
4. Borghezio Mario (Lega Nord): incendio aggravato.
5. Bossi Umberto (Lega Nord): finanziamento illecito e istigazione a delinquere.
6. Cantoni Giampiero (FI): corruzione e bancarotta.
7. Carra Enzo (Margherita): falsa testimonianza.
8. De Angelis Marcello (An): banda armata e associazione sovversiva.
9. D¹Elia Sergio (Rosa nel pugno): banda armata e concorso in omicidio.
10. Dell¹Utri Marcello (FI): false fatture, falso in bilancio e frode fiscale.
11. Del Pennino Antonio (FI): finanziamento illecito.
12. De Michelis Gianni (Psi): corruzione e finanziamento illecito.
13. Farina Daniele (Prc): fabbricazione, detenzione e porto abusivo di ordigni esplosivi, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e inosservanza degli ordini dell¹autorità.
14. Jannuzzi Lino (FI): diffamazione aggravata.
15. La Malfa Giorgio (FI): finanziamento illecito.
16. Maroni Roberto (Lega Nord): resistenza a pubblico ufficiale.
17. Mauro Giovanni (FI): diffamazione aggravata.
18. Nania Domenico (An): lesioni volontarie personali.
19. Patriciello Aldo (Udc): finanziamento illecito.
20. Pomicino Paolo Cirino (Dc): corruzione e finanziamento illecito.
21. Previti Cesare (FI): corruzione giudiziaria.
22. Sterpa Egidio (FI): finanziamento illecito.
23. Tomassini Antonio (FI): falso in atto pubblico.
24. Visco Vincenzo (Ds): abuso edilizio.
25. Vito Alfredo (FI): corruzione.

Dalla stalla alle stelle..tte - La politica estera al tempo di vallettopoli.

Aria di bassa corte bizantina nei palazzi romani nelle ultime settimane. Molte coltellate, per adesso metaforiche, molto parlare di sesso e ricatti, molto scavare tra lenzuola, vizi e (mancate) virtù dei personaggi della politica e del jet set.
Imbeccata dal magistrato Woodcock (il cognome tradotto in italiano suonerebbe più o meno come Beccaccini) l'Italia dei partiti, dei giornali e dei talk-show, per una decina di giorni, s'è avvoltolata, con sudaticcia voluttà nella vicenda del portavoce di Prodi e nella ricerca ossessiva del politico in barca con le ninfette.
Come in una telenovela o un reality show, oramai non c'è più molta differenza tra i due generi, si è giocato a nominare chi doveva essere buttato fuori per primo e si sa che nelle telenovele e nei reality il sesso conta moltissimo.
L'epopea di vallettopoli, con la suspence dei personaggi tirati in ballo a sorpresa, e la crocifissione del povero Sircana hanno però messo in sordina, tralasciandolo quasi del tutto, un tema importantissimo come quello della politica estera.
Un tema che da destra come da sinistra, finora è stato giocato solo in chiave di politica interna, evitando accuratamente analisi specifiche e più approfondite.
Perché sulla politica estera, si gioca la sopravvivenza del governo del centrosinistra.
Perché sulla politica estera appaiono più chiare e manifeste le debolezze del progetto del Partito Democratico.
Perché sulla politica estera il centrodestra vorrebbe sfondare, ma resta incapace di realizzare l'unità di tutti i suoi componenti.
Chi ha seguito con attenzione gli ultimi eventi non ha potuto fare a meno di sospettare che anche il governo americano cerchi di giocare la partita entrando mani e piedi nel dibattito politico interno italiano.
Tutti occupati a registrare le ingerenze di PapaRatzinger nei DICO, molti politici italiani che pure dichiarano di battersi per l'autonomia nazionale, non hanno capito che l'intromissione del governo americano nella politica italiana è ben più invasiva e grave.
Che la lettera “agli italiani” firmata da sei ambasciatori accreditati presso lo Stato italiano (di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Paesi Bassi e Romania) rappresenti una vera e propria intrusione nella politica interna, con buona pace della dignità nazionale, a destra e a manca spesso sbandierata, è pacificamente acquisito da tutti, solo si è coniata per questa intrusione, la metafora di comportamento irrituale.
Ma non di comportamento irrituale si tratta, bensì di vero e proprio tentativo di condizionare pesantemente la politica interna italiana nel senso di promuovere un ritorno al governo di centrodestra, perché anche gli strateghi USA cercano di giocare la partita in chiave di politica interna italiana.
Senza alcun merito o demerito di nessuno la politica estera italiana è diventata l'ago di una bilancia che rischia di pendere sempre di più nel senso dello sgonfiamento della strategia della guerra di civiltà dell'occidente contro il mondo islamico - la definizione è solo propaganda, ma la propaganda ha giocato un ruolo importante in questi ultimi anni -.
Come si suol dire, i tempi sono cambiati ed il vento comincia a spirare ora da tutt'altra parte. Per rendersene conto basta riandare con la mente al periodo dopo l'11 settembre, quando, in una Europa con prevalenti governi di destra, ancora sconvolta dall'attentato, ancora molto scettica sulle prospettive dell'euro e della possibilità di costruzione di una unità diversa da un trattato economico, era facile far circolare propagande di guerra.
Chi ha dimenticato l'antrace. le armi di distruzione di massa, la pistola fumante?.
Chi ha dimenticato l'aria che tirava allora negli USA, il diverso rapporto degli stessi USA con la Russia di Putin? Chi può oggi sottovalutare il rischio di una guerra iraniana?
Ma oggi il vento potrebbe spirare da un'altra parte e una politica estera dell'Italia più autonoma nei confronti degli USA può fare la differenza. Oggi, anche in Italia, sarebbe possibile riscuotere consensi, non su una politica vetero-comunista antiatlantica, ma su una riflessione seria sulla inadeguatezza, sulla necessita del superamento di accordi militari che risalgono alla fine della seconda guerra mondiale; accordi imposti a una Italia sconfitta e distrutta e al sorgere della guerra fredda con l'URSS.
Ma nessuno né a destra né a sinistra, né in Italia, né all'estero, ha convenienza mettere in piazza il problema delle relazioni militari tra l'Italia (l'Europa) e gli USA.
Perché se è vero come è vero che i patti segreti del dopoguerra hanno fatto il loro tempo, è anche vero che non c'è ancora una linea, una strategia, né, tantomeno, la volontà politica forte di cambiare strada.
Non si ha il coraggio di affrontare il problema perché anche il solo flebile accenno di una politica estera italiana meno succube degli USA, cambierebbe le prospettive strategiche del Bushismo e del rapporto degli USA con l'Europa.
Perché la paura di un cambiamento nella politica estera italiana viene dopo la Spagna di Zapatero, dopo le difficoltà di Tony Blair, dopo un'Europa che si ripropone, o almeno sembra tentarci, come entità politica e non più e non solo come gigante economico.
Perché si comincia a capire che lo scontro di civiltà conviene solo ad una parte dell'occidente, quella che finora ha dominato il mondo e con questa strategia spera di poter continuare a farlo.
Tira aria di bassa corte nei palazzi romani, e il governo Prodi è costretto a navigare a vista tra DICO e ostaggi. Ostaggio esso stesso di tre o quattro senatori che, nel nome della pace, se dovesse per loro colpa cadere il governo Prodi, finirebbero per dare fiato e ossigeno a nuovi venti di guerra.
Nei giorni scorsi l'inossidabile Andreotti, in un dibattito televisivo, ha affermato, senza mezzi termini, che andare in Afganistan è stato un errore, aggiungendo che l'Italia non ha poi tutti questi interessi da difendere in giro per il mondo e che gli Italiani non sono fatti per la guerra.
Come programma di politica estera non c'è male. Basterebbe adottarlo.

mercoledì 21 marzo 2007

Contro l'accumulo delle cariche politiche ed amministrative

Volete una riforma per rinnovare le classi dirigenti politiche?
Propongo l'assoluto divieto di accumulo delle cariche politiche e/o amministrative (e degli emolumenti relativi)
E' forse la modalità più frequente con cui, soprattutto nel sud, il mondo della politica distrugge ogni possibilità e ogni speranza di riscatto. Il danno più grave non è di carattere finanziario e morale.
Uno che è contemporaneamente sindaco, presidente di Comunità montana, consigliere provinciale, segretario cittadino, consigliere di amministrazione..., non solo ruba gli emolumenti ma impedisce il funzionamento di enti, aziende pubbliche e a volte private, istituzioni. Infatti, anche se ne fosse capace e non lo è mai!!!, non avrebbe la possibilità materiale di assolvere ai tanti mandati.
Il danno non è solo questo, l'accumulo delle cariche distrugge ogni possibilità di riforme e di rinnovamento perché distrugge la convenienza a riformare, mortifica le attese delle persone capaci (soprattutto dei giovani), di coloro che hanno meriti reali e voglia di riformare e che non potranno mai farsi strada in un sistema così bloccato. Uccide anche ogni possibilità di sviluppo perché non vi è sviluppo senza innovazione e non vi può essere innovazione in un sistema dove gli sforzi son tutti per conservare posti e posizioni immeritatamente acquisiti.
Tante volte si lamenta il mancato rinnovamento della classe dirigente, soprattutto nel sud. Ma il primo impedimento al rinnovo della classe dirigente è proprio l'accumulo delle cariche che restringe in maniera drastica le possibilità di accesso, gli spazi e i livelli di partecipazione e di democrazia. Chi accumula cariche accumula anche potere ed utilizza cariche e potere per conquistare ancora cariche e potere, e per impedire che altri, sopratutto quelli esterni al giro, vi entrino.
Il fenomeno non è mai stato studiato in profondità, ma costituisce, soprattutto nel sud, la modalità più comune con cui il cosiddetto ceto politico s'infeuda nel territorio e nelle istituzione ed è anche un modo di... percepire tangenti.
Perché in quale altro modo si possono chiamare una decina di emolumenti da consigliere di amministrazione, presidente, vicepresidente, sindaco, dati alla moglie di un assessore regionale?
(l'esempio è tratto dalla cronaca giudiziaria calabrese).
Nel sud il fenomeno non è per niente nuovo tant'è vero che uno dei primi provvedimenti della rivoluzionaria Repubblica Partenopea, già nel 1799, fu proprio il divieto di accumulo delle cariche.
E' pur vero che la Repubblica Partenopea fu sconfitta dalle orde del cardinale Ruffo.
Ma è anche vero che il cardinale Ruffo è morto e si è dimesso pure Ruini...

lunedì 19 marzo 2007

Il pilorcio digitale e la società dell'informazione

Uno guarda le facce dei politici calabresi, che ne so: Adamo, Amato, Crea, Gentile... e pensa che la Regione Calabria non sia moderna e al passo con i tempi...
Sbagliato! La Regione Calabria è moderna, tecnologica, elettronica, informatica...
Infatti da quasi un decennio spende e spande per autostrade elettroniche, società dell'informazione, e governement e new economy perfino. Già ben 6 anni fa, nel 2001, ha emanato la legge n. 17 del 3 maggio 2001, per lo sviluppo della New Economy. Una legge che prevedeva la istituzione di un portale economico integrato territoriale e un incubatore virtuale per aziende, contro il modesto corrispettivo di qualche miliarduccio (di lire).
- Che sarà mai un portale economico integrato territoriale? E un incubatore virtuale? Sono sicuro che ve lo state chiedendo come me lo sono chiesto io
- Non lo so ma già il nome mi fa venire un pilorcio digitale, tanto che sento il bisogno di informarmi per poi informarvi.
Per essere al passo coi tempi cerco informazioni su Internet. Sui principali motori di ricerca non c'è traccia né di incubatori virtuali calabresi né di portali economici regionali, tantomeno vi sono dei link sul portale della regione, ma c'è l'Urp (Ufficio Relazioni col Pubblico) con un suo sito, da lì posso mandare una mail e avrò subito risposta. Mandare una mail non è facile anche perché non vi é nessun indirizzo e.mail, ma ci sono dei numeri di telefono, ben 5 numeri (0961/856711 -856784 - 856783 - 856708 - 856715) più un numero verde (80 8412 89). Sul numero verde non risponde nessuno, ma, dopo vari tentativi, al 856708 una voce assonnata risponde: chi è?.
Spiego alla signora quello che mi serve e lei, con la voce adesso più sveglia, mi dice che non sa e di aspettare. Dopo alcuni minuti mi ragguaglia, sicura e perentoria: riguarda il lavoro e mi da altri 2 numeri di telefono (0961 727423 - 858440). Dei due un non risponde e all'altro una voce maschile, dopo il chi è? di rito e una nuova richiesta di aspettare mi dice di non sapere niente e mi da ancora un altro numero (0961 - 858445) al quale non risponde nessuno.
Perplesso e un pò incazzato ritorno all'Urp e trovo (non molto evidenziato) un form da compilare e perfino un altro numero di telefono (del dirigente dell'ufficio)., il quale, gentilissimo, dopo avermi spiegato che così purtroppo vanno le cose, mi dice che, ovviamente, lui non ne sa niente ma mi dà ancora un altro numero (0961 856201) ed il nome della responsabile di settore. Al numero risponde un signore che dopo il consueto iter (chi è? Aspettate! Non so niente!) mi dà il numero 0961 856615. Al numero questa volta risponde la responsabile del settore che dice di sapere tutto e di essere disposta perfino ad incontrarmi ma non oggi. Per un appuntamento mi da un altro numero (0961 774091)
Per sapere qualcosa sulla legge 17 del 2001 dovrò aspettare qualche giorno. Voi dovrete aspettare al prossimo numero. Intanto tutti questi numeri giocateveli al lotto. Non si sa mai.

Culodipietra sbarca a Roma

La "classe" politica calabrese ama andare nella capitale. Lo fa tanto di frequente che l'importo totale dei rimborsi e delle spese per "missioni" a Roma di politici amministratori e dirigenti regionali, provinciali e comunali, basterebbe da solo a pagare tutti i debiti dei calabresi con l'Inps che, come pochi sanno, basterebbero a fare una discreta "finanziaria". I culidipietra adorano Roma. Lì, tra l'Aventino e il Quirinale sognano glorie improbabili e combinano puttanate sicure. Al contrario dei centrodestri che si presentavano a Roma, per non infrangere una lunghissima consuetudine, col cappello in mano mendicando soldi, i culidipietra del centrosinistra marciano sulla capitale con spocchia e alterigia, o meglio con una notevole faccia di tolla. Di fronte al governo, novelli intrepidi Brenno, mettono sul piatto della bilancia le miserie della regione (mafia, inefficienza e sottosviluppo), di cui sono in gran parte responsabili, e pretendono un controvalore in soldi o meglio in prebende. Ma i nostri a Roma non si occupano solo di affari di governo, loro, a Roma, dove arrivano seguiti da una piccola corte (sempre a spese del contribuente), fanno di tutto.
- Un convegno sullo sviluppo della Calabria lo facciamo a Cosenza?.
- Ma quando mai si fa a Roma. -
- Un dibattito sulle infrastrutture si fa a Gioia Tauro?
- Macchè a Roma.
- Una conferenza sulla 'ndranghita? a Locri?
- Ma quando mai, a Roma.
- La presentazione di una campagna promozionale per il turismo a Tropea o Soverato?
- Siamo mica scemi, andiamo a Roma.
- Ma a Roma chi se ne impipa?
Il successo a Roma è garantito anche perché spettatori e giornalisti vengono fatti arrivare con treni e autobus dalla madreregione.
A febbraio molte delle sedie di Roma, da quelle vellutate dei palazzi del potere a quelle impagliate delle trattorie e delle enoteche, ospitavano deretani bruttii, onorevoli e non.

giovedì 15 marzo 2007

Riprendiamoci il diritto di voto.

Il diritto di voto è l'espressione più immediata e più vera della democrazia. E' una conquista costata lacrime e sangue ai nostri predecessori. Un diritto che faticò moltissimo ad affermarsi se è vero come è vero che da in Italia solo nel 1946 dopo anni di dittatura e una guerra mondiale, si votò per la prima volta col suffragio universale. Prima del fascismo il diritto di voto era riservato solo agli uomini e prima del 1918 era anche legato al censo, ossia alla situazione economica personale del cittadino.
Ma che cosa è il diritto di voto? Nella sostanza è il diritto dei cittadini, tutti senza alcuna esclusione, di scegliersi gli indirizzi di governo e i propri rappresentanti in seno alle istituzioni. Nella sostanza, in una società complessa come quella attuale, è l'unica maniera con cui il cittadino può partecipare alle attività istituzionali e di governo, l'unica forma che giustifica la parola democrazia (governo del popolo).
Il diritto di voto quindi concettualmente si compone di due diritti: quello di scegliere idee programmi, e indirizzi amministrativi (votare un partito, un gruppo, uno schieramento) e quello di scegliere le persone (votare le persone che a loro volta rappresenteranno anche i territori/città in senso geografico).
L'ultima riforma elettorale, votata dal centrodestra nella scorsa legislatura, ha rubato ai cittadini la seconda metà del diritto di voto, il diritto di votare per le persone.
Tale furto ha leso gravemente un diritto importante dei cittadini, ha abbassato in modo decisivo il tasso di democrazia in Italia, ma ha anche contribuito ad un degrado maggiore del ceto politico:
- Trasformando la democrazia in oligarchia. Di fatto una decina di persone scelgono tutti gli eletti già prima del voto.
- Aumentando la autoreferenzialità dei politici che davvero non rispondono più a nessuno.
- Diminuendo drasticamente la capacità di critica e di autonomia di giudizio dei parlamentari che devono il loro seggio non più al voto dei cittadini ma alla designazione dei loro capi.
- Riducendo sostanzialmente a zero la tendenza al rinnovamento di un ceto politico già logoro, inadeguato ed ora pure inamovibile.
Della riforma elettorale di Berlusconi, pure definita unanimamente porcellum, non viene contestato, da nessuno dei politici e dei partiti, il furto del diritto di voto, il degrado democratico provocato, ma solo l'inadeguatezza nel garantire la governabilità. Nei dibattiti su una nuova riforma, nessuno propone di restituire ai cittadini il diritto di voto, di aumentare il livello di partecipazione, ma solo provvedimenti tendenti a ridurre il numero dei partiti, a dare un maggiore premio al vincitore o dall'altra parte a garantire la vita anche dei piccolissimi partiti, a limitare il premio al vincitore.
Se così stanno le cose e purtroppo stanno proprio così, sarebbe da ingenui aspettarsi che proprio da questo ceto politico arrivi una riforma nella giusta direzione.
E' ora che i cittadini provvedano direttamente al ricambio di questa classe dirigente incominciando a riprendersi integralmente il diritto di voto con la proposta di abrogare la legge porcellum in toto e nello stesso tempo proponendo di aggiungere al vecchio matterellum un primo turno di elezioni primarie e di sbarramento facendola così simile alla legge elettorale dei sindaci che finora ha dato ottimi risultati.

martedì 6 marzo 2007

La campagna di Oliviero Toscani per rilanciare l'immagine della Calabria


E' stata presentata (a Roma?) la campagna di Oliviero Toscani per la Regione Calabria. Una mezza dozzina di foto che diverranno manifesti 6x3 da affiggere nelle grandi città e paginoni su quotidiani e periodici nazionali.
I messaggi di Toscani, con una strategia comunicazionale tutt'altro che originale, ricordano infatti la campagna elettorale di Nichi Vendola in Puglia, sono costituiti da gruppi di giovani sorridenti con T-shirts bianche in varie pose con con le headlines: Terroni? Si, siamo calabresi! Malavitosi? Si, siamo calabresi! Incivili? Si, siamo calabresi! I peggiori? Si, siamo calabresi! Gli ultimi della classe? Si, siamo calabresi! Inaffidabili? Sì, siamo calabresi! A mo' di firma in basso a destra vi è la frase Gli ultimi saranno i primi con il logo della Regione Calabria.
La campagna, nelle dichiarate intenzioni, dovrebbe rilanciare l'immagine della Regione, immaginiamo, a scopo di promozione turistica.
Se non ci fosse da incazzarsi come belve, si potrebbe ironizzare sul vicepresidente che non avendo fatto nulla per produrre l'arrosto, quando era assessore alle attività produttive con un mandato molto ampio, ora che è assessore al turismo, tenta in tutti i modi di vendere il fumo.
Non sappiamo quanti miliardi dei contribuenti costerà questa toscanata. I lanci d'agenzia tutti preoccupati a magnificare l'originalità (sic) del fotografo non si occupano di volgarità come il danaro, ma farebbero bene a farlo perché, ancora una volta, si tratta di milioni di euro buttati al vento fuori da una regione che ne avrebbe disperato bisogno.
Quale promozione turistica? Se dovesse funzionare al 100%, la campagna, convincerebbe tutti quelli che la guardano, che i ragazzi calabresi oltre ad essere molto belli, non sono malavitosi, non sono i peggiori, non sono incivili ecc ecc. Cosa nota e risaputa e quindi del tutto inutile. Come sfondare una porta aperta, fare un buco nell'acqua, portare vasi a Samo, vendere frigoriferi agli eschimesi.
Se i turisti non vengono o non tornano in Calabria non è perchè hanno dubbi sui ragazzi, ma probabilmente perché i depuratori non funzionano, la spazzatura rimane spesso sulla strada, in molti posti scarseggia l'acqua, le strade sono sfasciate e assolutamente prive di segnaletica, c'è poco rispetto della natura, la sanità è uno sfacelo, non ci sono controlli da parte delle istituzioni e quindi pochi delinquenti fanno sembrare la regione un far west...
Per far fronte a tutto questo, per acquisire nuove presenze turistiche, le immagini alla mulino bianco di Oliviero non servono a niente anzi sono olio alla guallera come diceva mio nonno.
Ma allora perché questo ennesimo autogol e perché poi queste immagini, derise sui forum dei giovani, riscuotono invece consensi da parte di molti politici regionali?
Perché probabilmente l'obiettivo vero (e non dichiarabile) della campagna Toscani è un altro. Una furbata alla 5th ave. Cerchiamo di analizzarla. Innanzi tutto i destinatari del messaggio (il Target) non sono i potenziali turisti bensì i cittadini italiani in genere e soprattutto gli elettori calabresi stanchi sconvolti e scandalizzati dalle figure meschine di un ceto politico calabrese inconcludente, rissoso, corrotto e, per un buon numero indagato, rinviato a giudizio, spesso anche condannato che si autoperpetua. L'obiettivo da raggiungere non è di aumentare le presenze turistiche bensì di ottenere una assoluzione generalizzata e una qualsivoglia rinnovata credibilità oramai persa irrimediabilmente. La strategia comunicazionale, un vero capolavoro, è quella del capro espiatorio: i ragazzi innocenti al posto dei politici impresentabili. Siamo tutti calabresi se condannate noi, condannate pure loro, se assolvete loro, assolvete pure noi.
Non per niente si ricorre al linguaggio evangelico per fare una promessa che non costa niente che è sicuro che non può essere mantenuta... una promessa messianica: gli ultimi saranno i primi... Quando? Dove? Come? Con quali soldi?
Come tutti sanno la pubblicità non funziona su piani razionali, ma su piani emozionali e per condizionamenti pawloviani; per associazione di idee vengono attribuite al prodotto immagini che il messaggio pubblicitario con la suggestione vi ha collegato. Guardo un campari e vedo fascinosi transessuali del jet set, guardo una utilitaria e vedo pantere e giaguari vestiti da donna... guardo le facce di tolla dei politici calabresi e vedo le facce fresche dei ragazzi reggini...
Funzionerà? Quien sabe!
Speriamo non funzioni molto che in tal caso si avrebbe un effetto all'incontrario: guardo le facce fresche e pulite dei ragazzi e vedo le facce di tolla dei politici. Che un incubo!

A proposito della campagna di Oliviero Toscani sulla Calabria


...tutto bello, tutto suggestivo come uno sballo da estasi (inteso non come droga): bianche magliette come bianco fiore, bianco dash, bianco natale, voci bianche, mulino bianco...
Ma certa pubblicità come il canto delle sirene è fatto per ammaliare i gonzi e i gonzi, purtroppo e per l'ennesima volta, sono proprio i calabresi (quelli più maturi ché i giovani speriamo che se ne fottano). Solo ai calabresi è dedicata la campagna propagandistica-mistico-consolatoria di Adamo/Toscani. Perchè dimentichino l'orrenda realtà di tutti i giorni fatta di inefficienza, sprechi, corruzione, incapacità, arroganza, cinismo di una classe dirigente, soprattuto politica, che si autoperpetua per discendenza all'interno del clan/partito o tutt'al più per cooptazione tra gli amici e gli amici degli amici.
... Terroni? Malavitosi? Incivili? I peggiori? Gli ultimi della classe? Inaffidabili?... Nessuno al mondo (tranne Adamo/Toscani) ha mai pensato di affibiare questi appellativi ai ragazzini con la maglietta bianca.
Ai politici sì. Provate a sostituire mentalmente la foto dei ragazzi in maglietta bianca con la foto dei politici calabresi (di destra di centro di sinistra) e vedete che effetto.
Altro che pregiudizi!
...Sì siamo calabresi! E possiamo andare fieri di molte cose. Non certo di chi ci governa e del modo come siamo governati.
...Gli ultimi saranno i primi??? Chissa? Ma la strada è lunga e dolorosa. Occorre ...rivoltare la Calabria come un calzino... lo diceva perfino il buon Agazio fino a poco tempo fa. Ci vuole una vera e propria rivoluzione...
Purtroppo la rivoluzione non è un pranzo di gala.
E neanche un pic-nic sui prati con maglietta biancodash e sorriso benetton.