lunedì 15 dicembre 2008

ALLA FACCIA DEL MINIMALISMO Barack Obama e Gioacchino da Fiore

Perchè il futuro presidente degli USA cita più volte nella sua campagna elettorale un monaco calabrese del 1200? E chi era Gioacchino da Fiore
di Mimmo Loiero


Un fantasma si aggira tra gli Usa e la vecchia Europa. Lo si è visto passeggiare inquieto tra le rovine fumanti di mutui obbligazioni e derivati senza degnare di uno sguardo Dow-Jones, Nikkei e Mibtel, lo si è visto fare rapide apparizioni nei blog di vecchi pensatori marxisti, brutalmente privati del sol dell’avvenire, e aleggiare con un vero ectoplasma tra pagine coraniche e perfino tra grembiulini rituali e cappucci massonici.
E’ il fantasma di quello che fu una persona scomoda.
Frate, predicatore, profeta, mistico, filosofo, innovatore, sognatore rivoluzionario, teologo, scrittore, disegnatore grafico e calabrese.
E’ il fantasma di Gioacchino da Fiore.
Come i fantasmi che si rispettano Gioacchino non si è presentato cosō per caso, ma è stato regolarmente evocato.
Nientepopodimenoche da Barack Obama candidato alla presidenza degli Stati Uniti.
Il probabile futuro presidente degli USA lo ha più volte citato come “maestro della civiltł contemporanea” e “ispiratore di un mondo più giusto” nel corso di una campagna elettorale che non è fatta solo, come vorrebbe un luogo comune qui da noi, di scandaletti e appeal dei candidati.
Il fatto ha destato stupore e sensazione. Stupore soprattutto nel mondo politico-mediatico calabrese, ove, conoscendo poco o niente di Gioacchino e del Gioachimismo, si sono cercate relazioni tra Obama e la Calabria, magari solo con qualche collaboratore del suo staff (calabrese?) che lo avrebbe ispirato.
La sensazione è invece più vasta e meno provinciale.
Del fatto si sono occupati in tanti: da Gianni Vattimo (filosofo marxista) a Baget Bozzo (prete e consigliere culturale di Berlusconi), Aldo Civico (antropologo), Franco Cardini (storico medievalista) e perfino Ridwan al-Sayyid (professore di studi islamici) e la giornalista Emanuela Bambara che (ahimè) lo ha descritto come un massone d’antan.
Niente di strano se si pensa, in passato, che perfino alcuni "pensatori" nazisti hanno cercato di utlizzare le sue "profezie" (terza età = terzo reich)
Ma chi era Gioacchino da Fiore, perchè Obama lo ha “usato” per la sua campagna elettorale e perchè la cosa ha destato sensazione? Cosa ha detto o fatto questo frataccio che girava per l’Italia nel dodicesimo secolo coperto di vesti lacere e che faceva inginocchiare ai suoi piedi le imperatrici? Che relazione ci puś essere tra questa testa tosta calabrese e i destini di una sinistra italiana perduta in un minimalismo senza fine, senza progetto e senza speranza, proprio mentre il capitalismo internazionale che solo ieri celebrava trionfi, ricomincia un cammino di crolli e miserie e mostra il suo volto più misero, bieco e truffaldino?
E infine ha un senso, proprio oggi che la politica, la cultura e i media vivono del “tempo reale”, un presente che è sempre più corto, sempre più piccolo, sempre più evanescente, sempre più falso, dimenticabile e dimenticato, oggi che ci terrorizzano gli immigrati e non ci ricordiamo di essere stati appena ieri terrorizzati dall’influenza aviaria e dall’antrace, oggi che la parola politica significa solo corruzione, soldi, truffe e nient’altro, ha senso oggi guardare il complesso della storia dell’uomo per capirne il senso e la direzione? Ha senso leggere e studiare vecchie utopie?
Probabilmente ha senso. Soprattutto per chi è calabrese. Per chi non si rassegna al dominio del pensiero unico e della nanopolitica.
E comunque quella di Gioacchino è una bella storia.

Gioacchino nacque (intorno al 1130, nell’avvicendarsi della dominazione sveva e quella normanna) e studiò in Calabria a Cosenza. Viaggiś per qualche tempo in Oriente e ritornò in Calabria dove fece il predicatore e l’eremita. Divenne abate del monastero di Santa Maria di Corazzo che diresse abilmente sviluppandolo e ingrandendolo poi chiese di essere esonerato da tale potere e si dedicò ai suoi studi che lo portarono a riflettere sulla storia e sul tempo, sui rapporti tra l’umano e il divino, sulla organizzazione della chiesa e della specie umana, fino a prefigurare un ordine nuovo, una nuova Utopia. Gioacchino da Fiore ebbe una vita molto movimentata. Fondò l’Ordine Florense, incontrò papi (Clemente III, Urbano II Lucio III e Celestino III) e imperatori (Guglielmo II ed Enrico VI), re (Filippo II e Tancredi)e regine, con tutti interagì a tal punto da influenzare la storia. A Riccardo Cuor di Leone predisse l’insuccesso della crociata. Convinse Enrico VI ad abbandonare l’assedio di Napoli, rifiutò di confessare l’imperatrice Costanza fino a quando non si fosse inginocchiata ai suoi piedi. Profetś sulla vita e la morte di Federico II (stupor mundi) allora ancora bambino.
Di lui un testimone raccontò che dettava nello stesso tempo a due suoi collaboratori due libri diversi, di lui si disse che era un santo, ma nessun papa osò nominarlo tale
Morō nel 1202 ma la sua concezione della storia e del mondo, la sua Utopia (il monasterium), i suoi libri continuarono ad influenzare la storia e la cultura nei secoli successivi fino ad oggi.
Ispirò il movimento francescano, venne citato da Dante che nella Divina Commedia si ispira alle sue idee innovatrici, ne utilizza simboli e linguaggio profetico. Cristoforo Colombo collega nei suoi scritti le sue esplorazioni alle profezie di Gioacchino. E d’altronde i frati spagnoli dell’Osservanza portarono nel nuovo mondo la speranza e l’utopia del frate calabrese che ancora oggi in America latina viene studiato. Schemi e simboli gioachimiti vengono riconosciuti in Michelangelo nella Cappella Sistina come nel Duomo di Assisi.
Oggi luoghi di studi gioachimiti continuano ad essere, oltre che il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti di san Giovanni in Fiore, l’Università di Oxford in Inghilterra, le Università di Berlino e di Costanza e, negli USA, la Northwestern University, l’Universitł di Chicago, l’Universitł del Kansas e quella dell’Arizona. All’Universitł di Harvard ha insegnato per lungo tempo Morton Bloomfield, studioso di Gioacchino e del Gioachimismo.
Nessuna meraviglia quindi che Barack Obama conosca e citi il profeta di Celico senza avere bisogno che qualcuno glielo suggerisca.
Gioacchino lasciò molti opere (scritti profetici, di teologia, di storia, sermoni, riflessioni ed analisi sulla Bibbia, scritti sull’Apocalisse)e Il Liber Figurarum che è in qualche modo una sintesi simbolica del pensiero gioachimita, una complessa opera (storia teologia profezia) che è anche uno stupefacente lavoro di grafica.
Il pensiero del filosofo calabrese scaturisce dall’analisi della storia più antica (l’antico testamento - l’età del padre) e dall’analisi del passato più recente (il nuovo testamento - l’età del figlio). Da queste analisi lui ricava la “necessitł” dell’avvento di un tempo futuro (l’età dello spirito) che “deve” giungere ed in cui la specie umana riesce ad esprimere il meglio liberandosi da afflizioni, ignoranza e sottomissione. Sta probabilmente tutta qui la “modernità” di Gioacchino da Fiore. Egli pone, in una maniera “deterministica” e per qualche verso “scientifica”, il tema del futuro dell’umanità. Del suo destino “progressista”.
Ma non si ferma qui. Vede infatti anche la necessità di una organizzazione sociale dell’umanità che superi i rapporti tipici delle due età precedenti (l’etł del padre e l’etł del figlio) tra gli uomini e degli uomini col potere e con la divinità. A questa necessità lui non si sottrae ed erige la sua Utopia anzi il suo Monasterium. Una struttura sociale, ovviamente a carattere teologico, ma dove gli umani trovano la loro collocazione non in base al potere o al denaro o alla discendenza, ma in base alle loro tendenze, al loro carattere e al loro stato (persone contemplative, persone attive, persone dedite alla famiglia, anziani e deboli di salute, studiosi etc) e sotto la pacifica guida di un abate. Il Monasterium ipotizza una riforma radicale e una ristrutturazione che mette in crisi l’organizzazione della chiesa che condanna pubblicamente le sue idee e le sue opere nel concilio Lateranense del 1215.

Dopo la nanotecnologia ecco la nanopolitica

Puttanate, mangia mangia, sud, sinistra e apprendisti stregoni
di Mimmo Loiero

Le nanopolitiche si chiamano così non solo perché sono di bassa lega come l’affaire Alitalia, tanto caro al presidente del consiglio spesso (irrispettosamente) chiamato nano, ma anche perchè dei politici veramente piccoli si occupano di cose infinitamente piccole.
Nanopolitiche come nanotecnologie.
Con la differenza che le nanotecnologie funzionano e sono utili a tutti, le nanopolitiche funzionano e sono utili solo a distogliere l’attenzione dei cittadini dai problemi veri e seri.
Tutto questo mentre l’economia occidentale, diventata un colosso (finanziario), con i piedi (produttivi e commerciali) da nano, non si regge piØ e si avvia a fare un tonfo che quello del ‘29 al confronto sembrerł un piccolo inciampo.
Tutto questo mentre lavoratori, sinistra e sud escono di scena e perfino i loro nomi spariscono dal linguaggio politico e mediatico.
Tutto questo mentre incauti apprendisti in neoorbace o camicia verde, sfruculiano, per interessi molto concreti e moderni, fantasmi e demoni molto antichi ma sempre vivi e vitali (razza religione e nazione). fantasmi e demoni che poi non saranno assolutamente in grado di controllare e che possono ridurre l’italietta a regione balcanica.
Cominciamo dall’affare Alitalia che non è, come dicono e come vorrebbero farci credere, il salvataggio di una azienda statale decotta, ma un vero e proprio affare peraltro molto sporco. L’ennesima sostanziosa portata di una pantagruelica orgiastica scorpacciata, iniziata negli anni ‘90, e che terminerł solo quando l’ultima briciola (le Ferrovie, le Poste, la Rai) dell’immensa ricchezza che costituiva il capitalismo di stato italiano, sarł stata divorata, distrutta e dilapidata.
Ancora ai primi anni ‘90, lo stato italiano, pur se indebitato (meno perś di quanto lo è oggi), possedeva un vero e proprio impero economico costituito da aziende che facevano di tutto e producevano di tutto (petrolio, gas, energia elettrica, treni, aerei, navi, radio, televisioni, case, strade, acqua, scuole, ospedali, porti, aeroporti, musei... e perfino, alberghi, pasta, auto, vestiti).
Lo chiamavano capitalismo di stato ed in Europa era secondo solo al capitalismo di stato sovietico. Questo colosso forniva servizi e prodotti, spesso di buona qualitł, a prezzi moderatamente bassi e dava lavoro a milioni di persone. Non senza problemi di efficienza, spreco, clientelismo, corruzione. Non per niente è entrato in tangentopoli dalla porta principale.
Oggi, dopo poco piØ di un decennio, di questo colosso resta poco. Ma non perchè è passato di mano, acquistato dai privati. Perchè è stato divorato, dilapidato, parcellizzato, delocalizzato, sputtanato, bruciato nel peggiore dei modi.
Oggi lo stato è più indebitato di allora.
Oggi i lavoratori son piØ sfruttati piØ precari, piØ terrorizzati dalla perdita del lavoro e meno pagati di allora.
Oggi i consumatori pagano salatissimo servizi e prodotti peggiorati come qualitł, come efficienza e soprattutto come sicurezza rispetto a quelli forniti dalle aziende di stato.
Chi ci ha guadagnato quindi dalla dismissione del capitalismo di stato italiano? Dalla liquidazione truffaldina di un impero economico bruciato come offerta sacrificale sull’altare di un liberalismo economico che, per lo meno in Italia, non Å mai esistito?
L’affare Alitalia è un esempio che spiega come è accaduto tutto questo.
Spiega come è nata ed è cresciuta la razza degli squali da seconda repubblica. I furbetti delle privatizzazioni, i geni della finanza creativa, i palazzinari che dal mattone passano alle cartolarizzazioni e alla scalata alle banche, i valorosi cavalieri di ventura con i loro scudieri politici che aprono le porte, danno concessioni e consigli, promuovono o bloccano business, fanno e disfano leggi ad personam, smussano angoli e ostacoli. Ovviamente in cambio di soldi, consenso, potere. Nessuno da niente per niente.
Solo pochi anni fa Alitalia era una compagnia aerea al top nel panorama dei vettori mondiali. Solo due anni fa poteva fare un accordo alla pari con i vettori leaders europei. Solo quattro mesi fa poteva essere venduta in blocco ad Air France (tre miliardi di debiti compresi) e con solo 1600 licenziamenti per 1.600 milioni.
Oggi viene acquistata (senza i tre miliardi di debiti e con tremila licenziati) per trecento miseri milioni, da un suo concorrente interno (Air One) pieno di debiti e a capo di una cordata che sarł ri/cordata piØ o meno come la Banda Bassotti.
Domani sarł rivenduta, in un modo o nell’altro e per meno, magari allo stesso vettore internazionale che ieri era disposto a pagarla di più. Tutto questo con procedure scellerate, leggi ad personam e facendo pagare il conto al contribuente che si deve accollare la bad company, i tre miliardi di debiti ed il costo dei licenziati, e al consumatore che pagherł di piØ perchè diminuisce la concorrenza. Dopo essersi accollati trecento milioni di prestito-ponte.
Tutto questo per far ingrassare gli squaletti di turno. Ma non solo. C’è anche, e non è poco, la sistemazione di Malpensa a svantaggio di Fiumicino.
Un altro vantaggio per il nord ed un ennesimo calcio in culo al sud. Un film gił visto per le privatizzazioni e svendite passate e che dovremo rivedere per quelle che verranno.
Di tutta questa schifezza il Walter con amici e compagni, pur se impegnati a scannarsi tra di loro, han fatto di tutto per accaparrarsi un po’ di merito.
E ci sono riusciti!
Questa schifezza come le altre precedenti è anche merito loro!
La sinistra fantasmatico-radicale invece, le poche volte che riesce ad andare in TV, non fa altro che ripetere che non vuole fare polemiche.
E per non fare polemiche, in coerenza con la nanopolitica del centrodestra, educatamente puntualizza, sottolinea, ribatte... sui grembiulini che la ministra Gelmini vuole imporre agli scolari, sui diritti dei travestiti e delle puttane che la Carfagna vuole buttar via dalle strade, sulle telefonate da mezzano del presidente del consiglio, sulla questione se Abdul a Milano sia stato ammazzato a bastonate perchÄ ladro di biscotti o perchè nero.
Come se la cosa possa essere considerata piØ grave o meno grave nell’un caso o nell’altro.
Naturalmente ognuno si pone i problemi che vuole ma non ci si piange addosso se non prendono voti e non ci si meraviglia se un Grillo conquista le piazze o se un Tremonti bacia il santino di carlomarx.
Come si usa dire: non c’è problema.
Non c’è infatti un problema della sinistra in Italia.
La sinistra è il problema attuale dell’Italia.
Perchè ha rinunciato a governare riformando e innovando quando ne ha avuto il mandato, il potere e la responsabilitł.
Perchè non svolge il ruolo di opposizione attuando controlli veri e proposte politiche alternative.
Perchè non ha chiaro e definito un progetto con il quale riunire gli interessi e le energie della maggioranza del paese. Compreso quelli che hanno votato Berlusconi per trovare una soluzione qualunque all’incapacitł del governo di centrosinistra di raccogliere perfino la spazzatura.
Perchè, infine, questa sinistra, senza differenza tra quella radicale, quella riformista, quella cattolica, quella ambientalista, quella sessantottina..., nè tutte insieme, nè separatamente riescono a capire e a sputtanare il progetto politico di questo centrodestra che invece un progetto chiaro ce l’ha.
Si basa su tre punti: diritti dei lavoratori, sud e partecipazione politica.
Il progetto è semplice.
Abolire tutti e tre.
Molti degli strumenti legislativi necessari per realizzare questo progetto sono gił stati approvati o sono in corso di approvazione (leggi sull’immunitł ed impunitł di chi comanda, abolizione delle tasse per i ceti piØ abbienti, leggi e regolamenti di polizia e di pulizia delle strade, provvedimenti tesi ad abolire o comunque a depotenziare l’informazione politica, legge elettorale europea, riforme del sistema legislativo tese ad abolire l’autonomia della magistratura, il cosiddetto federalismo fiscale).
Provvedimenti e leggi che non sarebbero passati ma avrebbero scatenato una rivoluzione se il ceto medio e la classe lavoratrice non fossero stati messi in ginocchio da operazioni di natura economica come il blocco delle remunerazioni, la istituzione del lavoro precario, la crescita incontrollata di prezzi e tariffe, l’impoverimento in seguito ad operazioni truffaldine come le speculazioni finanziarie ed i mutui immobiliari.
Il consenso di cui gode Berlusconi è anche basato sull’impoverimento politico ed economico dei lavoratori e del ceto medio.
E sulla paura.
Una paura artificiale. In parte scatenata da eventi e campagne propagandistiche internazionali (guerre e terrorismo) ed in parte di origine nostrana.
Incauti apprendisti stregoni in neoorbace o camicia verde non esitano ad evocare demoni e fantasmi (questioni di razza etnia religione) che poi non saranno in grado di controllare.
Giocano con le ampolle d’acqua i bossisti, con i simboli celtici gli ex fascisti e oggi sindaci delle libertł. Ed intanto si levano i roghi, si organizzano raid e spedizioni punitive, si scatenano scontri etnici e la camorra e le mafie vestono manti e cappucci da Ku Klux Clan.
A Milano, l’ha visto tutt’Italia nei TG, nell’ultima manifestazione dei leghisti campeggiava uno striscione enorme con su scritto: libertł per il nord.
Sulle spigge calabresi siciliane pugliesi napoletane i giovani ballano le tarantelle e imparano vecchi canti di briganti.

Mala tempora currunt

La nuova questione meridionale

di Mimmo Loiero

La manifestazione Centopassi per il Sud liberato dalle mafie, quest'anno, è coincisa con il dibattito nazionale relativo al decreto sicurezza del ministro Maroni. Il collegamento tra le due cose non è solo temporale ma sostanziale. Il paese che "vanta" le quattro organizzazioni criminali più potenti del mondo ('ndrangheta, mafia, camorra e sacra corona unita), non può fare un decreto sulla sicurezza senza parlare di mafie, intese senza alcuna differenza, sia come organizzazioni criminali che sparano sia come organizzazioni criminali che corrompono, riciclano, fanno business e raccolgono voti. Perché la questione delle mafie è anche, e soprattutto, questione di sicurezza. Per quelli che abitano e lavorano al sud come per quelli che abitano e lavorano al nord.

Più che la delinquenza comune, nazionale straniera extracomunitaria o clandestina, le mafie producono insicurezza. Di più. Producono sottomissione paura e terrore in tutti gli strati sociali. A partire dai rappresentanti delle istituzioni e dei poteri legali e democratici. Come hanno imparato, a volte pagando il prezzo del sangue, magistrati, poliziotti e carabinieri, sindaci e assessori, imprenditori, commercianti, preti... fino ai cittadini comuni (anche donne e bambini) uccisi a volte anche solo per sgarro involontario o perché erano sulla linea di tiro dei proiettili.

Ma la questione delle mafie non è solo questione di sicurezza è la nuova (e vecchia) Questione meridionale.

Chi nasce nelle regioni del Sud, impara fin da piccolo, a non reclamare diritti ma solo a chiedere favori, a non guardare e comunque a non vedere le sopraffazioni, le angherie, le ingiustizie e i delitti che avvengono attorno a lui. Impara soprattutto a non denunciare, a non parlare, a non testimoniare, se per caso gli capita la disgrazia di "dover vedere per forza". Impara, se vuole fare impresa, a non crescere, a non progredire, a non tentare nemmeno di espandersi specialmente se opera in certi settori, in certi territori. Impara soprattutto a pagare senza fiatare, a rispondere senza obiezioni alle richieste che gli arrivano. Sopravvive bene se riesce a non aspettare che gli arrivino le richieste ma a intuirle e a comportarsi di conseguenza. Tutto questo per tentare di "non avere guai". La parola guai è un eufemismo che può significare anche perdere la vita e l'azienda.

Contrariamente a quanto qualcuno scrive, questi comportamenti non sono frutto di una "cultura meridionale" ma di paura vera e propria instillata con una dominazione reale che, in certe zone, è veramente assoluta. L'imprenditore calabrese, siciliano, campano, non è più vile, più rinunciatario del suo omologo emiliano o bergamasco. Semmai è cento volte più coraggioso, cento volte più intraprendente. Lo dimostra il semplice fatto che, molto spesso, quando l'imprenditore emiliano o bergamasco viene al sud, magari perché vince un appalto, nonostante possa contare su risorse e assistenza molto più forti dell'imprenditore meridionale, si affretta a pagare, il pizzo, a dare i lavori in subappalto, ad assumere guardiani raccomandati... oppure ad abbandonare baracca e burattini e tornarsene al nord.

Lo ha spiegato, nel forum “Mafie e Sud” alla manifestazione Centopassi per il Sud libero dalle Mafie, Pino Masciari. Già imprenditore calabrese di successo, con forte personalità e coraggio da vendere, Pino Masciari, alla fine degli anni novanta, denunciò non solo le cosche che operavano nel Vibonese, nelle Serre e nel Basso Jonio, ma anche le collusioni che queste avevano con i poteri istituzionali. Pino Masciari mandò in galera, con le sue denunce, "ndranghetisti" e rappresentanti delle istituzioni collusi. In un paese normale avrebbe ricevuto il plauso e la riconoscenza della comunità e delle istituzioni. Non è stato così. Da allora, ha perso l'azienda e vive con la famiglia in regime di protezione "da deportato" al nord dove, però, riceve anche riconoscimenti e cittadinanze onorarie. Al sud nella sua amata Calabria, dove ogni volta che torna rischia la vita, nessun sindaco, nessun politico, di destra di centro e di sinistra, se l'è sentita di sfilare al suo fianco per offrirgli quella solidarietà concreta di tutta la comunità che lo potrebbe proteggere contro la vendetta delle cosche. Cosa è questo se non paura? Paura che però chi ha ricevuto un mandato democratico deve saper superare oppure, come ha suggerito lo stesso Pino Masciari, deve dimettersi.

Il forum “Mafie e Sud” in cui, oltre a Pino Masciari, si sono confrontati Alessio Magro coautore del libro Il sangue dei giusti, Don Mimmo Battaglia fondatore e animatore di comunità terapeutiche, Francesco Condoluci giornalista, Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio autori del libro La società sparente, è risultato una buona chiave di lettura di questo fenomeno complesso e drammatico. Un fenomeno che ha connotazioni di carattere sociale, politico, culturale, antropologico, religioso, economico, militare perfino.

Le mafie nel dibattito, che nonostante il tempo e le energie dedicate, non poteva che avere solo un carattere introduttivo, sono apparse come la vera "questione meridionale" una questione che parte dal Sud e dalla metà del novecento e come una metastasi si espande fino ai giorni nostri e fino a Duisburg e oltre...

Giovanni Falcone diceva che, come ogni fenomeno umano, la mafia ha avuto un inizio e deve avere una fine. Ma la fine delle mafie è di là da venire proprio perché quello mafioso si propone come un modello, per adesso vincente, di organizzazione di poteri che riescono a pervadere le istituzioni e lo stato. Quello mafioso è un modello produttivo. Una economia di cui solo la parte illegale ha bilanci che sembrano quelli di uno stato.

Le mafie fanno PIL.

Per batterle veramente, hanno concluso i relatori, deve nascere dal basso una nuova comunità, un nuovo modo di produrre e distribuire più attento alla solidarietà, alla natura, ai diritti delle generazioni future. Utopia o ritorno alla polis? Forse un progetto vero.

Alla fine vinceremo noi, recita lo striscione che mostra una schiera di bambini. Metasud lo ha proposto come slogan di un movimento che deve avere ben chiara l'urgenza di una battaglia che non può più attendere, ma anche i tempi lunghi di una rivoluzione delle coscienze che deve partire dai nostri ragazzi. Quei tanti ragazzi che in dodici scuole del comprensorio soveratese hanno lavorato ad una conoscenza del fenomeno mafie, producendo lavori che sono stati esposti una settimana nel municipio di Soverato e che probabilmente faranno parte di una pubblicazione. Quei tanti ragazzi che hanno organizzato i Centopassi come una festa con corteo, mostre, musica e spettacoli, utilizzando la loro vitalità e le loro energie e sono riusciti a raccogliere adesioni vere e non solo presenze a partire dai loro coetanei.

Non si può continuare a vedere la manifestazione dei Centopassi, come una partita allo stadio con le tifoserie schierate da una parte o dall'altra. Non si devono contare le presenze (e le assenze) nel corteo per decidere chi ha vinto e chi ha perso. Le persone che osservano ai margini del corteo, quelli che scuotono la testa, quelli che “cosa ci vengo a fare che tanto la mafia vince sempre...”, non sono nemici da combattere, semmai ostaggi da liberare. Dalla paura, dal dominio, dall'assuefazione a subire tacendo.

Le manifestazioni, quelle vere e non le passerelle celebratorie, sono, soprattutto all'inizio, espressione di minoranze che però portano avanti problemi che riguardano tutti e sui quali non esiste ancora sufficiente consapevolezza neanche nelle istituzioni. Il successo di una manifestazione di questo tipo, non può essere misurato come quello delle stars televisive con il numero dei fans e dei tifosi presenti, ma dalla misura in cui ci si avvicina all'obiettivo che è modificare i comportamenti dei cittadini nei confronti delle mafie a partire dai giovani, dagli uomini nuovi. Farli passare dalla inconsapevolezza del dominio delle mafie, dal silenzio omertoso, dalla indifferenza, dalla emulazione, al rifiuto, alla rivolta, all'affermazione di comportamenti nuovi di libertà e legalità.

Per raggiungere questo obiettivo non basta una manifestazione e neanche due. Le manifestazioni servono ma sono solo un passo. Ce ne vogliono tanti altri. Almeno cento

Via l'ICI e 'Ntu culu al Sud. 'Ntu culu alla Calabria

Inserito il 30 maggio 08
PRONTO IL DECRETO FISCALE
Via l'ICI e 'Ntu culu alla Calabria
di Mimmo Loiero

Vae Victis. Guai ai vinti. E i vinti di questa tornata elettorale siamo noi: il Sud, la Calabria.
Il governo di Arcore è rapido nel far pagare i conti. Lo fa immediatamente prima che qualcuno, caso mai, possa capire e reagire.

Lo fa col decreto fiscale che abolisce l'ICI sulla prima casa (ai ricchi poiché agli altri aveva già provveduto il governo Prodi). Stamattina le agenzie di stampa (ANSA) battono le prime notizie sul decreto. L'ICI resterà solo per le seconde case e le case signorili, ville e castelli. Ma questo regalo ai ricchi da chi sarà pagato?

La copertura dell'ICI costa 1,7 MLD. Ma la copertura complessiva supera i 2,6 miliardi perché comprende anche lo sgravio che era già stato introdotto dal precedente governo dall'ultima Finanziaria.
Per la copertura si prevedono sforbiciate ad una settantina di norme e micronorme dell'ultima Finanziaria e del decreto mille-proproghe. Ma la copertura più consistente del decreto fiscale - e anche questa è una conferma rispetto a quanto già trapelato in questi giorni - arriverà però dai fondi che erano destinati alle infrastrutture e alla difesa del suolo in Sicilia e in Calabria; l'importo è di 1.363,5 milioni di euro.

La Calabria può tranquillamente sprofondare a mare e le sue strade (compreso la 106 e la superstrada delle Serre) se ne andranno a farsi fottere.
E i politici meridionali?
Come sempre, stanno a litigare per avere una poltrona qualsiasi, anche uno strapuntino, nei palazzi di Roma. Questo è il loro unico e vero obiettivo. Per questo hanno comprato candidature e voti. Per questo hanno fatto patti con chiunque. Per questo, quand'anche passasse loro per la testa, non muoveranno un dito. Per questo plaudiranno alla decisione di Arcore e... 'Ntu culu alla Calabria!

Chi ha vinto e chi ha perso

Il sud fa volare il cavaliere ma gli asini restano a terra
di Mimmo Loiero

Di nuovo prima repubblica, ancora seconda repubblica o siamo già alla terza repubblica?
Chi lo può dire?
Quello che è certo è che non è ancora finito il terremoto di tangentopoli. Quella specie di big-bang che sconvolse il mondo politico italiano nel '92. A quello sconquasso non sono seguite le solite scosse di assestamento ma una serie infinita di onde sismiche sempre più forti che continuano a stravolgere e a cancellare ogni prospettiva di stabilizzazione. Fino al punto che dopo queste ultime elezioni il più antico dei partiti in parlamento è diventata la Lega Nord. Non ci vuole molto a prevedere che le scosse continueranno e che nella prossima legislatura, probabilmente anticipata, le sigle e le forze in campo saranno ancora diverse.

Tutto nuovo o tutto vecchio dopo il 13 aprile?
Tutto nuovo e tutto vecchio.
I grandi sommovimenti sociali economici e strategici mondiali che banalmente chiamiamo con il nome di globalizzazione, continuano a sconvolgere nel profondo la società italiana determinando nuove ricchezze e nuovi poteri e soprattutto nuove povertà e nuove paure.
Tutto questo è nuovo.
Dall'altra parte abbiamo un ceto politico che pretende spudoratamente il consenso alle proprie ambizioni di ricchezza e potere e che, per tentare di capire ed interpretare il mondo (cosa di cui non gliene fotte granché) usa categorie antiche che peraltro non ha mai capito perfettamente.
Tutto questo è vecchio molto vecchio.

Il ceto politico italiano del ventunesimo secolo non è classe dirigente.
Non riesce a capire quello che avviene. Non ha un progetto per la nazione. Non ha un metodo, non ha idee né ideologie. Non sa indicare percorsi e strumenti. Si fa i fatti propri e crede di capire i bisogni della gente con i sondaggi. Così viene fuori l'Italia del Mulino Bianco tutta Maria de Filippi e paura dei "clandestini". Nome che evoca terrore. Accanto a noi li chiamano "sans papier" senza documenti, nome che evoca il fatto reale che sono i diseredati della terra.
Il problema però è più grave.
In Italia in questo momento non c'è una classe dirigente. Non vi sono idee, progetti, programmi, obiettivi e non vi è neanche chi ci pensa. Per capire si può fare mente locale ad un altro periodo storico: l'immediato dopoguerra. Allora il paese era nella merda però i politici (Einaudi, De gasperi, Togliatti) avevano un'idea di stato e scrivevano la costituzione, gli industriali (Mattei, Olivetti) avevano un'idea di sviluppo e progettavano ed intraprendevano, gli intellettuali (Quasimodo, Montale, Rossellini) avevano un'idea di comunità e producevano capolavori. Oggi quale idea c'è della società, dell'economia, dello sviluppo. Quali sono i politici, gli imprenditori, gli intellettuali?

Ma veniamo alle elezioni. Chi ha vinto? Chi ha perso?
Non c'è stata una guerra ideologica, uno scontro tra culture diverse, non si confrontavano programmi antagonisti progetti di società antitetici.
Si è trattato di uno scontro in gran parte interno al ceto politico teso ad imporre nuovi rapporti di forza. Ma si è trattato pure di un scontro di interessi.
Il risultato vede il centrosinistra battuto, la sinistra di Bertinotti cancellata assieme ai partitini di centro e delle estreme, ma vede anche un Sud che diventa ancora più insignificante, ancora più feudo, ancora più periferia.
Un sud sconfitto anche se è il protagonista vero della vittoria di Berlusconi.

Il sud, mafie comprese, ha infatti fatto vincere il centrodestra capovolgendo i rapporti di forza nelle regioni amministrate dal centrosinistra, ma i vantaggi vanno tutti al nord. Non per niente, a cominciare dal minuto successivo allo spoglio delle schede, il partito di Bossi, complici sondaggisti, giornalisti talckshowmen, si sono precipitati a mettere i piedi nel piatto della vittoria.
Non bisogna essere profeti per prevedere che i Padani non si accontenteranno dei due posti di ministro che il cavaliere, a pochi minuti dalla vittoria, ha preannunciato.
Non ci vuol molto neanche a capire che, siccome la Lega al nord ha vinto, soprattutto nei confronti del PDL, il leader del predellino, darà spazio ai suoi al nord, se non altro per non indebolirsi ulteriormente, a discapito dei meridionali di AN diventati muti ostaggi.

Il sud quindi, benché sia il protagonista vero della vittoria del centrodestra, conterà meno di zero nei programmi e anche nella compagine di governo. Se va bene sarà rappresentato, a livello governativo, solo da un ministero (senza portafoglio) e da qualche sottosegretariato tutti rigorosamente targati Trinacria.
Resterà a bocca asciutta la moltitudine di chi, deluso per l'ennesima volta dal centrosinistra (soprattutto da Loiero e Bassolino), ha votato, magari turandosi il naso, per il cavaliere.
Ci sarà solo rabbia per chi ha rinunciato a votare o ha annullato la scheda come i grillini.
Niente ministeri ma succulente briciole per la grande palude assistenziale-politico-affaristico-mafiosa che, anche stavolta, giocando una facile puntata sul nero, ha vinto come sempre.
D'altronde il rosso (per la prima volta) aveva mostrato di non gradire.

Centrosinistra o centrodestra il sud perde ancora.
Almeno fino a quando non saprà liberarsi di questo ceto politico ignavo, capace solo di elemosinare incarichi e prebende dai potenti di turno.
Naturalmente ha vinto il nord non solo e non tanto perché ha vinto la lega, ma soprattutto perché la sua classe dirigente è in grado di curare i propri interessi.
Di proseguire una politica di dominazione assistenziale nei confronti di un meridione ancora condannato a fornire capitali (ieri dal risparmio e oggi pure dai proventi delle mafie) produzioni primarie e forza lavoro (ieri manovalanza oggi i laureati dei call center) e a riprendersi indietro prodotti di consumo e rifiuti industriali.
Con la complicità servile dei politici meridionali.