sabato 20 giugno 2009

Il sud e l’oro blu

Acqua calabrese.
Una risorsa preziosa decantata da Plinio.
Acqua calabrese.
Affari, politica, ‘ndrine e scatole cinesi

Relazione all’evento SOS Acqua di Metasud Soverato Hotel Il Nocchiero 7 aprile 2009
Facciamoci i fatti nostri
Dovremmo occuparci di più dei fatti nostri. Delle nostre proprietà. Dei nostri beni, dei nostri averi che sono continuamente minacciati. Non dell’appartamento, della villetta, della macchina. Quelli sono i nostri beni privati e, nonostante le campagne terroristiche, oggi sui musulmani, ieri sui comunisti, domani sugli extra comunitari, quelli non ce li minaccia nessuno (a parte le banche e la crisi).
Dovremmo occuparci di più dei nostri beni collettivi che ci derubano, che ci insozzano, che ci sprecano, che rischiamo di perdere per sempre. Di quei beni preziosissimi senza i quali non possiamo vivere, come l’aria, la terra, il verde, le città, la legalità e l’acqua appunto.
Oggi come ieri, questi beni che sono di tutti, sono preda dei caimani.
I caimani sono come i coccodrilli. Si dice che i coccodrilli dopo avere divorato le loro prede più grosse si mettano a piangere.
Anche i caimani.
Quelli piccoli e quelli grandi.
Li sentiamo fare, oggi come ieri, grandi lamentazioni sullo sfasciume pendulo, sulla imprevedibilità delle catastrofi, sull’eroismo dei volontari, sulla solidarietà. Si abbracciano tutti nel comune dolore.
Ma da domani continueranno a fare condoni, a non controllare sfasci e abusivismi, a redigere piani regolatori di favore, a chiudere le foci dei fiumi con villette tangenti e cemento, a sollecitare l’appetito smisurato dei cementificatori con promesse e scambio di voti. Io do la licenza a te tu mi dai i voti tuoi e della tua famiglia per generazioni...
Ci hanno spiegato a noi idealisti, a noi folli, a noi sognatori, che il tempo degli ideali è definitivamente tramontato. Che il sol dell’avvenire non c’è più che bisogna essere pragmatici.
Bene vogliamo essere pragmatici, vogliamo entrare nel merito, vogliamo distinguere. Per questo rifiutiamo la retorica e non ci stringiamo oggi in un abbraccio comune con chi sullo sfascio ha mietuto successi, con chi ha speculato sulla vita delle povere persone dilaniate non tanto dagli eventi calamitosi, quanto dalla corruzione, dall’incuria, dai controlli mancati. Sarebbe ipocrisia scambiare solidarietà con chi ha scambiato vite umane contro voti, soldi e potere.
Vogliamo essere pragmatici, vogliamo entrare nel merito, vogliamo distinguere. Per questo riteniamo che i politici non sono tutti uguali. Non sono uguali quelli (tanti e di tanti partiti) che hanno favorito lo sfascio e quelli (pochi e di pochi partiti) che non favorendolo magari hanno bruciato voti e carriere.
Nei giorni della tragedia si fa molta retorica: sulle forze armate, sulla polizia, sui carabinieri, sui medici, sugli ingegneri perfino.
Via non siate idealisti! Abbiamo detto niente retorica! Distinguiamo!
Quali forze armate, quali medici? Quali ingegneri? Quelli che si sono fatti cadere in testa le caserme, i ponti, le strade, gli ospedali, gli edifici per aver permesso di mettere meno ferro e cemento, quelli che hanno firmato progetti scellerati, quelli che non hanno controllato, quelli che fanno i soldi e fanno morire la gente in corsia? Oppure quelli che si fanno il culo senza sgomitare e non fanno carriera, quelli che non trovano lavoro, quelli sfruttati da contratti da morti di fame, quelli bravi, tanto bravi che noi non li vogliamo e li mandiamo a lavorare all’estero? Quelli che non si vedono mai ma che senza di loro non funzionerebbe niente oppure quelli che fanno a cazzotti per entrare nelle foto ufficiali accanto al capo anche quando il capo si fa fotografare sulle rovine fumanti. I medici, gli ingegneri, i poliziotti esattamente come i politici non sono tutti uguali e quindi niente solidarietà indifferenziata.
Questa relazione parla di acqua, ma ci vorrebbero anni per esaurire tutto l’argomento.
E quindi non parleremo di quella dei mari e dei fiumi e neanche dell’acqua che viene giù dal cielo a volte come pioggia benefica a volte come diluvio disastroso.
Parleremo semplicemente della banale acqua che viene giù dal rubinetto (purtroppo non sempre e non per tutti).
Del bene collettivo più delicato e sciupato, della risorsa più preziosa.
Che non è solo bisogno (e quindi merce da pagare). Né diritto tout court e quindi da sprecare come si vuole, ma risorsa preziosa, bene di tutti, da difendere, valorizzare salvaguardare. Parleremo di acqua e del sud perché sono due parole che vanno assieme... La sete del sud del mondo e anche del sud dell’Italia esplode spesso sui giornali nelle proteste di massa non tanto e non solo perché è scarsa quanto per il fatto che è proprio nei paesi più poveri che viene rapinata.
Parleremo soprattutto dell’acqua della nostra regione che da risorsa abbondante e preziosa sta diventando un cocktail velenoso. In tutti i sensi.

Il cocktail
Il cocktail ha molti componenti ma la base è l’acqua. La meravigliosa buonissima acqua di Calabria magnificata da Gaio Plinio Secondo nella sua Storia Naturale come portentosa e dispensatrice di benefici. Quell’acqua abbondantissima che nel secolo scorso veniva calcolata in almeno trentamila sorgenti con portata superiore a 60 litri al minuto e quindi con una disponibilità complessiva di ben 43.000 litri al secondo.
Una ricchezza su cui in tanti hanno messo gli occhi e le mani ma che continua a venire sprecata con la mancata captazione e valorizzazione, con una rete vecchia che se ne perde più della metà, con l’irrazionale trivellazione di decine di migliaia di pozzi. Praticamente abbiamo acqua da vendere ma la buttiamo via.
Sembra un paradosso ma si spiega benissimo con quello che è il secondo ingrediente del nostro cocktail: i soldi.
Intorno all’acqua calabrese gira da decenni un mare di soldi, migliaia e migliaia di miliardi del vecchio conio. Sono i soldi pubblici degli investimenti non fatti o fatti male in decine di anni. Alaco, Menta, Metramo, Mesima sono parole che risuonano nella testa dei calabresi da decenni come sinonimo d spreco mafie e malaffare. Sono in tutto ben 36 le dighe progettate, in costruzione, realizzate. Di queste solo tre attualmente portano acqua nelle case dei calabresi. Sono centinaia i depuratori progettati ma ancora nessuno sa quanti sono quelli in funzione. Intorno a queste opere un mare di soldi. Soldi della regione Calabria, soldi nazionali distribuiti dai governi di tutti i colori, soldi dell’Europa.
Il terzo ingrediente è ovviamente la politica. Che dovrebbe esserci perché l’acqua è un tema che riguarda interessi vitali della comunità, perché è anche una questione di democrazia oltre che di benessere collettivo. Ma molti politici regionali (anche qui ci sforziamo di fare un distinguo ma è tremendamente difficile) ci sono perché ci sono i soldi, i voti, il potere.
I miliardi dell’acqua, come quelli della sanità, delle infrastrutture, dello sviluppo, passano attraverso atti politici: promesse, incarichi di progettazione, appalti e via dicendo. Sono atti politico-amministrativi che producono soldi, potere, voti. Ma attenzione! Qui non si pagano tangenti non ce n’è bisogno: pagatori e beneficiari sono le stesse persone o quanto meno parenti. Così risulta in una intervista rilasciata a Radio Radicale dal PM De Magistris ad agosto del 2007: “Faccia una visura camerale per vedere chi sono i soci, i consiglieri di amministrazione, e vedrà che abbiamo il figlio del politico, il nipote, il figlio e il parente del magistrato, e poi del poliziotto, del carabiniere... Nel 92 gli imprenditori facevano la fila davanti agli uffici del PM e confessavano stanchi di pagare tangenti. Da allora tutto è cambiato.. c’è stato un accordo pure con la mafia che ha dismesso la strategia dell’attacco allo stato. Tutti attorno ad un tavolo, imprenditoria e politica deviata. L’obiettivo non è più la mazzetta ma la spartizione dei finanziamenti pubblici. Ci sediamo, facciamo le nostre società, prendiamo”.
Non è solo il “troppo solerte” e quindi defenestrato De Magistris a parlare di “tavolo di accordi” tra mafia, politica, imprenditoria e poteri vari in Calabria. Il copyright spetta al dottor Boemi di Reggio procuratore antimafia molto informato della situazione.
Come vedete, parlando di politica, senza nessuna meraviglia e nessun clamore, abbiamo inserito il quarto ingrediente: le mafie ed in particolare le “ndrine”. Un ingrediente noto a tutti ma che chi ha gli occhi foderati di prosciutto ancora insiste a non vedere. Loro nell’acqua ci sono da decenni. Con i lavori di movimento terra delle dighe per esempio. Il posto se lo sono guadagnato nel modo solito, con estorsioni attentati, minacce. Ma nel business più grosso le “ndrine” fanno di tutto per non fare clamore. Fanno capolino qua e la, nelle inchieste giudiziarie scucuzzate, ma non più di tanto. Solo che ad un certo punto ci scappa il morto. L’imprenditore Longo, capofila di un consorzio di 23 aziende beneficiarie degli appalti delle infrastrutture dell’acqua, viene trovato fulminato dai pallettoni nel lametino.
Il nostro cocktail ha già quattro ingredienti fondamentali ma ne mancano ancora e tutti molto importanti.
Il quinto per esempio è rappresentato da decine e decine di comuni calabresi indebitati da decenni per bollette di acqua non pagate prima alla Cassa per il Mezzogiorno, poi alla regione e ora?
Dietro di loro centinaia di migliaia di cittadini abituati ad un servizio pessimo ma non pagato e che negli ultimi anni si vedono recapitare bollette forfettarie, pazze e pazzesche e comunque del tutto contro la legge ed il buon senso, che vorrebbero che io che con l’acqua ci bevo non devo pagare quanto quello che con l’acqua potabile irriga il giardino.. Qualcuno paga. Molti no.
E poi ci sono i carrozzoni che negli anni si sono costruiti e che mungono soldi in continuazione. Gli ATO per esempio. E poi e poi e poi...
Il cocktail è pronto. Prima di servirlo va rimescolato a lungo da presidenti di regione di centro destra e di centrosinistra e poi agitato ben bene. I barman ideali per questa operazione sono PM: quello di Catanzaro che siccome lo ha agitato troppo è stato licenziato, e poi quello di Latina e quelli di Palermo. Ma non se ne escludono altri per il futuro.
Il cocktail è servito. E’ un cocktail forte, per uomini che non devono chiedere. Mai.
Uomini che possono pretendere. Con l’arroganza del potere, con i soldi...

Sorical un nome una garanzia
L’acqua calabrese, dal punto di vista del business, non è mai stata pura nè tantomeno trasparente.
Oggi l’acqua calabrese ha un nome e un’etichetta. Ogni cocktail che si rispetti ha un nome.
Il nome è bruttino ricorda per assonanza i sorci, le zoccole e quindi i miasmi delle fogne ma è forte, sonoro, memorabile.
Si chiama SORICAL
Ma cosa è la Sorical?
Sorical non è solo un cocktail è anche un gioco di scatole cinesi. Partorito dalla coppia Chiaravalloti-Misiti doveva, a loro dire, ristorare la sete dei calabresi, valorizzare l’oro blu, costruendo infrastrutture di captazione, provvedere alla distribuzione ai comuni e alla depurazione. Sorical ha fatto poco o niente di tutto questo ma non è stata con le mani in mano.
Tant’è che oggi, per premio, il governatore Loiero e la sua giunta vogliono affidare tutta l’acqua calabrese a questa macchina mangiasoldi. E per farlo sono pronti anche ad unificare le 5 ATO e farne una sola.
Sorical alla nascita era ed è tuttora una società mista pubblico-privato. Il 51% della regione e il 49% di Acqua Calabria una società che alla nascita era costituita da Enel Idro e Acquedotto Pugliese. Amministratore delegato nominato dal socio privato e benedetto dal socio pubblico era l’ing. Raimondo Besson tecnico di area DS attivissimo, sempre nel settore dell’acqua, nel Lazio e altrove. L’ing. Besson era amministratore delegato e lo è rimasto fino a pochi mesi fa quando si è dimesso perché travolto da inchieste giudiziarie. Lo è rimasto anche quando il governo passò nelle mani del centrosinistra di Loiero e anche quando Enel Idro vendette la sua quota e la proprietà di Sorical passò, praticamente, nelle mani della multinazionale francese Veolia.
Ma che cosa è Veolia?
Veolia è una multinazionale. Forse la più grossa multinazionale del settore acqua. Ma si occupa pure di rifiuti e di altro. Veolia ha interessi dappertutto nel mondo, dall’Europa al Sudamerica passando per oriente e Africa. Soprattutto nei vari sud di questi paesi. Per esempio nel sud Italia.
Nel Sud Italia possiede l’acqua della Calabria, del Lazio, della Campania, della Sicilia.
Ma è piazzata benissimo anche nel settore spazzatura per esempio in Campania.
Con Sorical e Veolia la Calabria è sbarcata nel grande business mondiale. Se la fa con quei palloni veramente grossi, quelli pieni di schifezza, quelli che si sono sgonfiati in questi mesi di crisi finanziaria. E quindi noi calabresi in qualche modo, bevendo un bicchiere d’acqua o pagando la bolletta, possiamo illuderci di essere entrati nel GCM nel Grande Crac Mondiale.
Non ci credete?
Facciamo un esempio. A maggio scorso la Sorical calabrese, ha firmato un contratto di finanziamento di 240 milioni di euro con la irlandese Depfa. La Depfa è un’altra multinazionale che presta soldi agli enti pubblici e ne presta tanti da avere accumulato crediti in Italia per 34.5 miliardi. Molti dei prodotti Depfa, per esempio quelli affibiati al comune di Milano, sono quelli della finanza creativa, i famosi derivati che oggi sono definiti tossici. La Depfa negli ultimi tempi è finita in una inchiesta per truffa aggravata, ma nel frattempo era stata acquistata dalla tedesca Hipo Real Estate, anch’essa coinvolta pesantemente nella attuale crisi. Tanto che entrambe sia la Depfa che la Hipo rischiano il fallimento. Non per niente Financial Times ha già definito morta Depfa. Hipo naturalmente non brilla di vitalità. E Sorical che fine farà? Saranno i calabresi quelli che alla fine pagheranno per tutti?
Alta finanza, alti imbrogli, alti casini in cui noi poveri piccoli e soprattutto disinformati cittadini calabresi ci sentiamo impotenti.
Poveri e piccoli noi calabresi lo siamo davvero soprattutto per colpa di chi ci rappresenta ed invece di difendere i nostri diritti ed il nostro patrimonio ci impoverisce e deprime ogni giorno di più. Anche rubandoci l’acqua.
Una sveglia ha tentato di darcela meno di un mese fa il frate comboniano Alex Zanotelli che essendosene occupato da sempre, di queste cose se ne intende davvero.
Dal pulpito della cattedrale di Crotone ha gridato: “guai a voi, calabresi, se vi farete portare via la vostra acqua, che è una delle migliori del Paese. I vostri figli vi malediranno e ne avranno ragione. È vostro dovere combattere per riappropriarvi di questa risorsa preziosa che appartiene solo a voi. A Napoli e in altri posti d’Italia l’acqua, che è un bene di prima necessità, Veolia la fa pagare a tariffe altissime, e a chi non può pagare si impone la riduzione idrica al contatore. Questo è vergognoso, tutti hanno diritto all’acqua perché è un bene di vitale importanza, anche per chi è povero! È invece per molti questo diritto non è riconosciuto, una vera assurdità soprattutto in un posto come la Calabria in cui l’acqua c’è ed è anche buona e pura”.
Guai a noi se non difendiamo la nostra acqua, dice Padre Zanotelli.
Ma cosa fare? Come fare?
Per intanto possiamo almeno informarci e sapere che ci stanno fregando e come ci stanno fregando.
Non è molto. Altrove, perfino a Reggio Calabria, stanno facendo di più. manifestazioni, assemblee, comitati.
Noi da qualche parte dobbiamo pure incominciare.
Per questo presentiamo il libro di Giuseppe Pizzi “SOS ACQUA” edito da ADG edizioni di Soverato. Ottanta pagine buttate giù nello stile asciutto e privo di fronzoli del mai morto pamphlet, che riprendono e mettono insieme casi di cronaca e inchieste giudiziarie.
Giuseppe Pizzi è reggino ma vive e lavora a Latina.
E’ redattore de Il Calabrone ma scrive anche su altri giornali.
Si occupa da anni delle grandi questioni connesse all’attività umana in Italia e nel sud. Dal problema della pesca e del rischio di estinzione di specie importanti dal punto di vista dell’economia e dell’alimentazione come il tonno ed il pesce azzurro, al problema dell’acqua potabile.

Il sultano, San Gennaro e la piovra

Dobbiamo ricominciare a parlare.
Di politica.
Urlare, anche, con rabbia, nelle strade, nelle piazze, sui luoghi di lavoro, nei bar. Intervenire sul web, sui giornali, sulle radio e le TV online, nei forum e nelle chat dei social network, ricominciare a scrivere sui muri, sui volantini. Organizzare riunioni, attaccare manifesti.
Tornare a fare assemblee, aprire circoli e sezioni, fondare movimenti e associazioni.
Ricominciare ad interessarci.
Ai parcheggi fasulli, alla mondezza che ci seppellisce, alle speculazioni edilizie che ci cementificano, all’acqua che ci rubano, ai depuratori che non ci sono e quando ci sono non funzionano, alle strade scassate dove si muore come in guerra, alle case che ci crollano addosso col terremoto e senza terremoto, alle privatizzazioni fasulle, alle tasse che paghiamo e che molti non pagano, agli stipendi da nababbi che prendono alcuni e a quelli da fame che prendono altri, alla giustizia che non funziona e alle mafie che invece funzionano benissimo.
Dobbiamo imparare di nuovo la politica perché molte cose le abbiamo dimenticate o non le abbiamo mai imparate. Imparare a parlare ed intervenire in pubblico, a capire quando dicono bugie e fesserie cioè quasi sempre.
Capire dove è andato a finire il patrimonio immenso delle cosiddette privatizzazioni. Scoprire quando con una legge sull’ecologia ci fanno pagare le schifezze, quando nel nome di Robin Hood ci prendono per il naso. Scoprire come mai abbiamo i servizi più vecchi e scassati e perche costano il doppio di prima.
Ricominciare a parlare.
Di politica.
Ma non a favore o contro tizio e caio, ma a favore dei nostri interessi e contro quelli che dei nostri interessi se ne fottono. Parlare dei soldi che non bastano, del lavoro che non c’è e quando c’è è sottopagato o tanto pericoloso da farci morire ammazzati, parlare dei tiket sanitari, dei mendicanti che si moltiplicano, delle pensioni che forse non avremo mai, delle truffe e degli imbrogli di cui siamo vittime, delle ingiustizie e della corruzione.
Dobbiamo ricominciare a pensare anche.
Alla nostra vita individuale e collettiva, al mondo che vogliamo per noi e per i nostri figli. Un mondo migliore, meno inquinato, più giusto, con meno violenza e meno mafie, con meno guerre. Dobbiamo ricominciare ad incazzarci.
Cosa è diventata l’Italia?
Un sultanato, uno stato canaglia, il circo dove si esibisce un pagliaccio sciovinista?
Lo dicono in tanti ora. Non più solo i comunisti, o gli assatanati magistrati di manipulite. Lo dicono esponenti del liberalismo come Sartori e Ostellino, lo dicono giornali di tutta Europa. E non si tratta di attacchi rivolti al governo di centrodestra ma di definizioni che coinvolgono tutto il sistema politico italiano, i gruppi dirigenti e la stessa società italiana.
Spiace dirlo, ma nel mondo ci sono fischi e pernacchie per l’Italia tutta.
Dobbiamo preoccuparci per questo. Non fare spallucce che tanto è solo invidia per il capo del governo. Invidia de chè?
Siamo nel bel mezzo di una crisi mondiale economico-finanziaria di proporzioni colossali che non sappiamo come andrà a finire, anche perché non c’è, in questo momento, neanche nella società civile, e tanto meno nel mondo della politica, delle istituzioni, dell’economia, una presa di coscienza, un dibattito, una proposta qualsiasi, un progetto qualunque per uscirne fuori.
A guardarla bene sollevandosi un poco con la mente dal guazzabuglio gossipparo-propagandistico, la situazione italiana è veramente grave.
Da una parte le cifre di un disastro negato e affrontato solo con gesti scaramantici e con generici inviti all’ottimismo (PIL -5%, produzione industriale -15%, disoccupazione +8,5%, consumi delle famiglie -3%, prezzi settore alimentare +3%, esportazioni -19%, debito pubblico al massimo storico +6%, entrate tributarie -4,8%)... e via via elencando. Dall’altra nessun programma, nessun progetto, nessuna indicazione. La strategia di regalie politico-elettorali e un arraffa arraffa generale, una guerra di tutti contro tutti, un si salvi chi può senza regole e senza misura. Ma questa è una crisi che non si affronta con il solito tran tran. Non bastano gli scongiuri e neanche l’appello all’ottimismo e i pochi miliardi rubati agli investimenti del sud.
Si dice che gli altri stati occidentali non stanno meglio anzi stanno peggio come dimostrerebbero alcuni indicatori. In Spagna la disoccupazione è più forte, in gran Bretagna alcune banche sono fallite, in Germania la produzione industriale cala più velocemente... Non ci illudiamo. Ognuno di questi stati ha solidità e punti di vantaggio notevoli rispetto all’Italia. Pensiamo all’efficienza della macchina burocratica francese, al welfare tedesco che copre ogni abitante, anche quelli di pelle nera, dalla nascita alla morte, alle istituzioni locali inglesi. Facciamo un confronto mentale con l’Italia. Con gli enti locali nostri che sopravvivono rapinando i cittadini con falsi semafori, parcheggi come balzelli e mercato di oneri di urbanizzazioni, con la previdenza sociale che distribuisce pensioni baby e da nababbi e card da venti euro al mese, con la più dissestata macchina burocratica dell’occidente, con una giustizia che fa durare i processi per decenni, con una sicurezza fai da te e che non ha benzina per le macchine, con i nuovi e i vecchi poveri, con la nuova e vecchia corruzione, con i nuovi e vecchi sperperi, con le mafie, con uno stato potente e invasivo, che fino a qualche decennio fa gestiva la mezza economia della nazione e che ora, sempre più potente e invasivo, non riesce neanche a raccogliere la mondezza...
E poi tutti gli stati d’Europa in questa crisi hanno fatto le loro mosse, spostato centinaia di miliardi di euro, mentre noi lì fermi a dire che tanto la crisi era passata e a fare il tifo per Marchionne.
Non dobbiamo fare finta di non vedere. Di non capire. Siamo in una situazione tremenda per di più aggravata dalla nostra incapacità ad affrontarla. Abbiamo utilizzato la campagna elettorale per le europee e le amministrative non per parlare dei trattati europei, della costituzione, dell’accordo tra stati per l’economia e la finanza, non per evidenziare proposte e progetti per venir fuori dalla crisi e per riassestare la nostra scassata macchina statale, non per trovare un accordo su riforme non più rimandabili. L’abbiamo giocata come al solito, come una guerra per bande, senza esclusione di colpi, come uno scontro tra clan rivali, per la conquista ed il mantenimento di posizioni di potere. Senza progetto, senza idee, senza partecipazione.
Quale è il potere dei cittadini se alla fin fine sono costretti a votare sull’appeal o sulle schivezze di pochi “leaders”? Se a loro non è dato di conoscere chi è in gara e perché? C’è voluto l’intervento di Napolitano perché venissero concesse dai media alcune briciole di informazione vera.
Nei cittadini, se si esclude una piccolissima minoranza, non vi è chiara coscienza di quello che veramente succede in Italia. Vengono ingozzati fino alla nausea di ogni notizia che riguardi la vita intima e mondana della vipperia politico-mediatica ma nessuno li informa dei provvedimenti amministrativi e delle leggi che cambiano le carte in tavola, che determinano le loro speranze, i loro progetti, la loro salute, la loro vita e la loro morte.
Le strategie di sistematica distruzione di ogni forma di partecipazione democratica (chiusura delle sezioni, trasformazione dei partiti in clan familiari e/o in comitati elettorali, le leggi elettorali porcate), praticata negli ultimi decenni, a destra e a manca, con scellerata incoscienza, sta dando i suoi frutti velenosi. L’unica forma di partecipazione politica concessa alle masse, è una sorta di tifo da stadio praticato da supportes spesso prezzolati con regalie ed incentivi di ogni genere.
I cittadini italiani, in questo inizio di millennio, sembrano tanto completamente drogati ed imbambolati da affidare le loro speranze di futuro ai giochi d’azzardo (50 miliardi di euro spesi nel 2008), ai reality shows, alla protezione di un papi... Li abbiamo sentiti gli operai licenziati supplicare il presidente del consiglio come un novello san gennaro: aiutaci! noi ti abbiamo votato!
I cittadini italiani, operai compresi, sembrano tanto completamente imbambolati e drogati da non temere la crisi, la perdita del lavoro e dello stipendio, la mancanza di giustizia intesa sia come diseguaglianza che come mancanza del servizio, la difficoltà e per alcuni l’impossibilità di coltivare un progetto di vita, le mafie e la disumanità delle periferie urbane. Il timore più forte, sapientemente instillato e coltivato è per l’arrivo di qualche decina di migliaia di disperati della terra che rischiano la pelle per venire in Italia a trovare un tozzo di pane, ma anche a pagare i contributi per la pensione degli italiani. Per venire a dare assistenza ai loro vecchi e ai loro malati.
I cittadini italiani, in questo momento, non hanno coscienza della necessità ed urgenza di formare e rafforzare una nuova classe dirigente politica, ma anche se l’avessero non potrebbero ugualmente fare molto, privati del diritto di voto da una legge elettorale che, anche col referendum, vincano i si o i no, potrà solo peggiorare la situazione.
In questo momento storico è difficile che il sistema politico italiano sia in grado di riformarsi senza una forte scossa. Che si possano trovare all’interno di questo gruppo dirigente (di destra centro e sinistra) le energie umane e culturali capaci non tanto di invertire la rotta quanto anche soltanto di bloccare un degrado che, con il progredire della crisi, apparirà sempre di più in tutta la sua crudezza. C’è una vera e propria difficoltà di lettura della realtà nel personale politico italiano. Una incapacità di comprendere e descrivere quello che avviene nel mondo. Tutto viene visto in maniera lattiginosa e vaga come vedono gli ammalati di cataratta.
Barack Obama ha detto: possiamo aumentare le tasse ai ricchi, possiamo avere un sistema sanitario che protegga tutti, possiamo fare la pace con gli arabi, possiamo avere diritti uguali per tutti, possiamo tagliare gli artigli ad un mondo di ticoons predatori, possiamo vivere insieme con Cuba, possiamo avere salari uguali tra donne e uomini... proponendo una vera e propria rivoluzione nei confronti di modelli che hanno dominato gli USA da sempre. Ha detto tutto questo, ha vinto ed ora lo sta facendo.
Nella sinistra italiana tutto questo è stato tradotto con: “se pò ffà” che significava anche noi ce la possiamo fare a vincere le elezioni. Senza che neanche gli passasse per la testa di proporre qualche cambiamento, nulla, nemmeno una virgola. “Se pò ffà” cosa?
Nella destra ancora peggio. Fino al giorno prima tutti a leccare Bush, le sue guerre, la sua strategia armi, petrolio e truffe. Il giorno dopo tutti a magnificare Obama e a lanciare oscene identificazioni, ovviamente senza cambiare idea sulla guerra, sui musulmani, sulla finanza allegra, sulla eguaglianza.
Il panorama dei partiti (se si può ancora chiamarli così) in Italia appare veramente desolante. A destra un potere immenso legato a un uomo che, anche le vicende di questi giorni, hanno mostrato più volte ad un pelo (pardon!) dal rischio di perdersi e di perdere tutto. A destra ancora, un movimento (la lega) che, nonostante i consensi ed il potere acquisiti non è riuscito ad uscire fuori dalla (parziale) rappresentanza di interessi localistici, sia pure di un’area importante come il lombardo-veneto, a meno che non si vogliano considerare brillanti soluzioni nazionali la legge elettorale, il federalismo e le ronde.
A sinistra va un pò peggio. Per il PD c’erano grandi speranze a cui è corrisposta un altrettanto grande delusione. Raggomitolato su sè stesso non ha avuto tempo per proporre nessun cambiamento. Sbaglia comunque chi pensa che il nuovo Partito Democratico abbia fatto poco o niente. In appena due anni è riuscito a far fuori il governo Prodi, a buttare via dal parlamento la cosiddetta sinistra radicale e a portare al 10% Di Pietro. Non è poco. Se si gioca a perdere.
A sinistra del PD c’è un vuoto che declina il nome sinistra e si riunisce e si divide in un movimento caotico ed incomprensibile a tutti.
La situazione è molto più pesante al sud ed in Calabria dove i soldi, il lavoro, i voti, per la maggior parte, costituiscono un mercato riservato e monopolizzato da mafie e consorterie che solo a volte agiscono in proprio e quasi sempre col mandato di potentati politico-economici di Roma e del nord. Come è apparso chiaro dalle inchieste di De Magistris, come è apparso ancora più chiaro dalla rapina degli ultimi fondi europei per gli investimenti, utilizzati dal governo per pagare di tutto: dall’ICI dei ricchi, all’Alitalia, al terremoto, alle quote latte dei padani, senza che una sola voce si alzasse per protestare, per chiedere spiegazioni, quantomeno per informare i meridionali del furto.
Che fare?
Non vi sono ricette. Non vi sono miracoli. Non c’è da aspettare nessun santo e nessun eroe. Non ci salverà nessuno se non lo faremo da noi.
Utilizzando gli strumenti di sempre e quelli nuovi che abbiamo già a disposizione. Lo strumento della critica, la conoscenza e diffusione di tutte le informazioni politiche. La solidarietà tra tutti quelli che subiscono sfruttamenti, truffe, ingiustizie, vessazioni, intimidazioni, arroganze indipendentemente dal lavoro che svolgono, dall’età, dal sesso, dal colore della pelle, dal fatto che abitino al nord o al sud. La tolleranza e la pazienza per un confronto continuo tra tutti quelli che vogliono un mondo migliore. Ci sono tante strade per arrivarci ma se ne deve scegliere una e proseguire insieme. La non violenza soprattutto. Gandhi è riuscito a spodestare un impero, tanti altri hanno solo fatto dei morti. Ed infine, ma più importante di ogni altra cosa: il lavoro serio e costante per elaborare soluzioni e proposte. Il mondo migliore non deve essere un sogno, un sol dell’avvenire, ma un progetto per l’oggi, o meglio un work in progress che ogni giorno si arricchisce di particolari e di miglioramenti.
Non è impossibile. Ma non è neanche facile. La vecchia abusata metafora del gigante dai piedi d’argilla non descrive bene la realtà. Il sistema di potere in Italia è una piovra immensa, con tentacoli e veleno, che tutto guasta e corrompe. Vive bene al buio, nella sporcizia. Ma non sopporta la luce del sole, l’aria aperta, la pulizia. E’ facile evitarla. Basta stare all’asciutto. E se tutti stanno all’asciutto non avrà di che nutrirsi. L’aria fresca, la luce del sole e la pulizia faranno il resto. La piovra si mostrerà per quello che è realmente: uno stomaco immenso con tanta schifezza dentro.

Bordelli d’Italia

Delitti e diletti dei potenti sull’orlo di una crisi mondiale

Sono innumerevoli e impressionanti le nefandezze compiute in questi ultimi anni da tutta la classe politica, in particolare dal berlusconismo.
In appena quindici anni sono stati depredati danneggiati e dilapidati patrimoni collettivi materiali e immateriali enormi. L’immenso capitale dello stato (aziende, servizi, patrimonio) come l’eredità di diritti e di democrazia costata lacrime e sangue ai nostri padri (parlamentarismo, diritto di voto, partiti, diritti umani, diritto di uguaglianza almeno di fronte alla legge, diritto ad una informazione plurale se non libera). E ancora: il patrimonio di organismi istituzionali soprattutto quelli di controllo, il patrimonio di idee e di comportamenti sociali (la partecipazione politica e sociale, le idee di libertà, fratellanza universale, uguaglianza).
Ma non saranno questi delitti a provocare la caduta dell’idolo, né lo sfascio economico inutilmente negato, né la scarsa considerazione internazionale.
Allo stesso modo non sarà l’opposizione politica che rovescerà il risultato.
“ ...un ciarpame senza pudore, in nome del potere”. “Mio marito è malato” “non posso stare più con uno che va con le minorenni”.
Sono solo le parole di una donna che sta divorziando?
Oppure queste parole hanno valenza politica e c’è la possibilità che l’epopea di Berlusconi finisca su una banale e brutale questione di lenzuola (non proprio pulite)?
Frequentatori del palazzo e sondaggisti a scrocco continuano a strepitare che la questione non sposterà un solo voto, che l’adorazione della penisola per il cavaliere di Arcore rimane del tutto intatta.
Lui stesso esibisce un giorno si e l’altro pure, i numeri che dimostrerebbero che la sua popolarità cresce al ritmo di un punto percentuale a settimana.
Ma le cose non stanno esattamente così se è vero come è vero che in questi giorni sta ingoiando rospi pesanti come la fiducia al decreto sulla sicurezza che aveva sprezzantemente rifiutato il mese scorso, le reprimende delle gerarchie cattoliche che finora lo hanno sempre protetto e coperto e perfino la fronda interna di quelli che, come Gianfranco Fini, saliti, senza eccessivo entusiasmo nel “love boat” berlusconiano targato PDL, cominciano a sentire nausee e mal di mare.
Resta da vedere se gli italiani, intesi sia come popolo che come classe dirigente, reggono ancora le tante facce del Presidente del Consiglio che sono andati in onda in questi giorni.
Quella descritta da Veronica Lario, moglie e madre dei suoi figli, quella descritta dai giornali “nemici e comunisti”, quella criticata dalla fondazione di Gianfranco Fini, quella descritta dai giornali “di famiglia” quella sussurrata e insinuata con sottintesi nei talk-show e nelle cronachette rosa, quella cruda e desolante che appare sulla stampa internazionale ed infine quella che lo stesso Berlusconi sta continuando ad esibire senza soluzione di continuità e senza rendersi conto che, per nascondere una situazione “imbarazzante” ci mette una “pezza a colori”.
Dai microfoni di Porta a Porta e nelle interviste ai giornali, il Presidente del Consiglio ha raccontato, in sostanza, che un suo amico di Casoria, messo comunale, conosciuto perché era autista di Craxi, gli avrebbe chiesto di andarlo a trovare perché doveva parlargli delle candidature alle elezioni europee del PDL. Lui si è precipitato, non in forma privata ma con tutte le auto del codazzo e la scorta “una processione che sembrava un funerale” e, visto che c’era, ha portato alla figlia Noemi (che lo chiama papi) che festeggiava il compleanno, un collier di oro e diamanti (da 6.000 euro) un gioiellino da niente che, dicono i suoi supporters, il presidente regalerebbe spesso di qua e di là...
Quella che vien fuori da questa difesa non è una faccia migliore di quella che gli attribuiscono i suoi avversari.
A ben vedere tutte queste facce non sono poi così contraddittorie. Insieme descrivono una persona con un ego spropositato protagonista di una carriera lampo ottenuta proprio sul piano personale, buttando sulla bilancia politica i suoi successi personali, le sue televisioni, il suo patrimonio (e prima ancora i suoi debiti), i suoi processi, la sua pretesa persecuzione, le sue veline, i suoi amici spesso ingombranti, le sue continue smentite, le sue inutili bugie e ora i suoi problemi di letto...
E pensare che qualcuno, all’inizio, aveva parlato di Citizen Kane.

di Mimmo Loiero

Come siamo arrivati a questo punto?

di Mimmo Loiero

Piove fango sulla politica di centro destra e sinistra
Come siamo arrivati a questo punto?
E per noi c’è ancora speranza?

In questo articolo vi parlo di delinquenza politica. Della questione che viene chiamata morale ma che invece è, prima di tutto, una questione politica.
Lo faccio perchè oggi se ne parla per ogni dove, anche a vanvera. Perché dopo la bolla immobiliare sta ri/scoppiando la bolla, infetta e maleodorante, della corruzione politica. E dire che, solo alcuni mesi fa, chi ne parlava veniva messo all’indice, tacciato di antipolitica. Se se ne parla ora è anche merito del presidente Napolitano che, dopo aver fatto scoprire ai “candidi” che i lavoratori muoiono sui cantieri e nelle fabbriche, con questa ultima uscita, sta facendo scoprire, a chi ha gli occhi foderati di prosciutto, che tangentopoli non è mai finita e che al sud la corruzione ha toccato il punto di non ritorno.
Evidentemente far fuori De Magistris non è poi servito a molto. La corruzione è come i torrenti carsici: si insabbia di qua e viene fuori di là.
Non farò la cronaca giudiziaria perchè la si può trovare sui giornali ed in TV con tanto di riproduzione sceneggiata delle intercettazioni. E poi appassionarsi ai singoli episodi politico-giudiziari calabresi, napoletani, siciliani, pugliesi, lucani, abruzzesi, toscani, milanesi... fa perdere di vista il quadro d’insieme.
Che cercherò di sintetizzare in tre punti:
1 - La metastasi corruttiva è presente, dove più dove meno, in tutto il corpo politico istituzionale amministrativo nazionale.
2 - Questa politica, questi partiti, per come sono diventati, non hanno nessun interesse a rinunciare alla corruzione. In una situazione di mancanza assoluta di organizzazione, programmi, progetti e tensioni
ideali, i soldi (e le promesse corruttive) servono a comprare il consenso, che serve ad ottenere il potere, che serve a fare più soldi e più promesse corruttive, per comprare altri consensi per avere altro potere e così via in un carosello infernale che non ha mai fine.
3 - In una situazione di debolezza complessiva dovuta anche alla crisi economico-finanziaria, questa metastasi può essere mortale. Per la stessa classe dirigente, se il paese ha la forza di metterla in discussione e di levarsela di torno. Per il paese se questa classe dirigente, ancora una volta, resterł, a marcire e a moltiplicare il marciume, sulle poltrone di comando.
Ma come si è arrivati a questo punto? Non è stato facile nè rapido nè indolore.
C’è voluta una vera e propria controriforma politica (ma anche economica istituzionale e culturale) che è durata anni e che ancora non è finita.
Vediamone i punti essenziali.
- Abolizione dei luoghi di dibattito e delle funzioni di controllo politico (sezioni, comitati, federazioni, giornali, assemblee, riunioni, militanti, scuole di partito, elezioni di delegati etc).
- Riforme elettorali a catena che hanno portato alla totale incomprensione dei meccanismi elettivi e alla sostanziale sottrazione del diritto di scegliere i propri rappresentanti.
- Riforme istituzionali tese a portare i meccanismi di comando nelle mani di una sola persona e ad eliminare i meccanismi di controllo politico e istituzionale (potenziamento esagerato degli esecutivi e dequalificazione delle funzioni legislative e di controllo di tutte le assemblee elettive - dai consigli di quartiere al senato della repubblica passando attraverso i consigli comunali provinciali e regionali).
- Provvedimenti legislativi e politici tesi a depotenziare funzioni di controllo (TAR, Corte costituzionale, Consiglio di stato, Corte dei Conti etc.) e a rendere oneroso e difficile il ricorso dei cittadini agli stessi.
- Comportamenti politici ed istituzionali e provvedimenti legislativi tesi ad addomesticare la magistratura e anche a politicizzarla per rendere inefficaci e privi di forza morale le azioni di controllo sui comportamenti corruttivi.
- Provvedimenti legislativi per sottrarre al controllo giudiziario tutte le cariche dello stato e degli enti.
Occorre aggiungere anche tutti quei comportamenti politici e legislativi tesi a svilire e indebolire ogni tipo di controllo dal basso (sindacale, assembleare, di movimento, e perfino di dibattito su internet) con l’accusa di antipolitico e quindi comunista e quindi terrorista.
Una controriforma non del tutto incontrastata se è vero come è vero che in questi anni sono stati espulsi dalla politica migliaia di militanti, dirigenti di base e (pochi) vertici.
Per giungere a una situazione che, come ammette persino Napolitano, è gravissima, perchè il bubbone è ad un grado di suppurazione massimo e non si può fare a meno di intervenire.
In campo ci sarebbero due “proposte” che sembrano contrapposte ma paradossalmente sono uguali o comunque portano allo stesso risultato: quello di camuffare la situazione e fottere ancora il popolo.
Da una parte si vorrebbe ancora agire sull’eliminazione dei controlli e aumentare le zone di impunitł e dall’altra far cadere qualche testa come simbolo di ravvedimento e magari utilizzare ancora i magistrati nelle guerre interne.
C’è una terza via. Si chiama cambiamento.Dipende soprattutto da noi. Noi abbiamo il potere di farlo. In America con un anno e mezzo di campagna elettorale (da noi oramai dura solo un mese) E' stata cambiata tutta una classe dirigente e con essa la politica estera, la politica economica, ambientale, sociale...
Per noi c’e ancora speranza?

L'Italia AGOGO. Fantapolitica estrema.

di Mimmo Loiero

Secondo Clifford D. Simak esistono tantissimi universi. Miliardi e miliardi e miliardi con trilioni e trilioni e trilioni di galassie stelle e pianeti. Quindi, sempre secondo Simak, esistono tantissimi mondi come la Terra. Miliardi e miliardi che a volte differiscono tra loro per particolari piccolissimi o, a volte, enormi. Su una Terra, per esempio, non è mai stata scoperta l’energia atomica, su un’altra la Russia degli zar non è mai stata rovesciata da Lenin, in un altra ancora i Beatles invece di essere un gruppo pop erano banchieri della City. Naturalmente, se esistono miliardi di mondi come la Terra, esistono miliardi di Italie. Magari in una di queste, che sò, Garibaldi non ha mai conquistato il regno delle due Sicilie e quindi a Napoli il problema della spazzatura se lo deve risolvere Francischiello XIV, in un’altra la Calabria non è governata dalla ndrangheta ma dalla sacra corona unita, in un’altra ancora la Carfagna prende il Premio Nobel.
Impossibile?
Non se consideriamo la probabilitł su miliardi e miliardi e miliardi di mondi. Secondo Clifford D. Simak che ha già catalogato con nome ed effemeridi qualche milione di mondi, noi viviamo nell’Italia4US.
Vi ricordate com’era?
C’era la crisi, i debiti, il conflitto d’interessi, le mafie, Tremonti. C’era la Gelmini contestata dagli studenti, un centrosinistra inconcludente e rissoso, una pletora di politici, amministratori, faccendieri che non facevano una mazza e si fottevano un mare di soldi. C’erano i precari, le aziende che chiudevano, i call centers, i poveri e quelli che avevano paura di diventare poveri e se la prendevano con quelli ancora più disgraziati. C’era una crisi finanziaria mondiale che si stava trasformando in una crisi economica e di sistema, c’erano le guerre per il petrolio, il caro-benzina, i mutui a tasso variabile, il crollo dei consumi e la minaccia di fallimento del settore commerciale.
C’erano perfino un Veltroni leader del centrosinistra sgambettato continuamente da D’Alema e un tale Berlusconi con i capelli artificiali presidente del consiglio. C’era perfino una Vladimir Luxuria che aveva vinto un reality chiamato l’Isola dei famosi.
Tutte cose che, del resto, conoscete benissimo.
Nell’Italia4US mancavano tantissime cose. Un sistema di welfare decente, un’assistenza sociale moderna, una qualsivoglia struttura organizzativa per l’impiego e l’avviamento al lavoro, un efficace sistema di controllo della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, una politica per dare un’abitazione a chi non ce l’aveva, un’assistenza sanitaria e per gli anziani, una politica per l’ambiente e per una gestione del ciclo dei rifiuti, un senso dello stato e della responsabilitł civile collettiva, un sistema politico che garantisse partecipazione e democrazia, la speranza e la fiducia in un futuro migliore e tantissime altre cose che ad elencarle ci vorrebbe un mese. Non è che sia andata sempre così.
C’erano stati tempi migliori e peggiori.
Che il paese facesse acqua da tutte le parti lo vedevano tutti salvo quelli che, per non vederlo, indossavano occhiali speciali foderati di prosciutto.
- Il nostro sistema economico è particolare. le nostre banche non sono invischiate nella crisi - Ci dicevano, ed intanto stanziavano un centinaio di miliardi per le banche. Il giorno dopo le borse si bevevano i cento miliardi.
- La crisi sarà affrontata e vinta sul piano mondiale. - Ci vuole il G.20 - Predicavano - e il giorno dopo le borse si bevevano il G.20 e i trilioni investiti.
- Il settore auto è in crisi! Il comparto elettrodomestici è in crisi. Il tessile è in crisi. Il commercio è in crisi - Si disperavano ed intanto nessun provvedimento serio, solo giù soldi che il giorno dopo le borse regolarmente prosciugavano insieme alle speranze.
Un meccanismo diabolico!
Il classico cane che si morde la coda.
Il crollo dell’economia di carta, dei titoli fasulli, dei mutui a basso costo dei derivati e delle altre schifezze, aveva gettato sul lastrico buona parte del settore finanziario. Le borse avevano ovviamente reagito al ribasso e siccome quasi tutte le aziende di quasi tutti i settori, in quasi tutti gli ultimi dieci anni, avevano delocalizzato e investito solo in borsa e nei titoli fasulli, ecco che erano entrate anche loro nel tritacarne della crisi.
Ovvio che le fabbriche chiudessero. Ovvio che i disoccupati, i precari, i sottoccupati aumentassero. Ovvio che i consumi calassero vistosamente e, altrettanto ovvio, che il calo dei consumi desse ancora potenti giri di manovella al vortice della crisi. Così aumentava il numero dei crolli delle aziende, che a sua volta faceva aumentare i disoccupati e gli insicuri, i quali erano costretti a diminuire ancora di più i consumi determinando altre crisi, in un vortice infinito.
Bisognava che qualcuno fermasse quella danza macabra.
Ma come?
Le idee, i rimedi suggeriti, non erano tanti, ma in cambio erano anche stupidi.
- Aumentate i consumi - raccomandava Berlusconi a chi non aveva soldi e aveva già ipotecato la pensione dei nonni.
- Diminuite le tasse sulla tredicesima! Diceva Veltroni mentre milioni di lavoratori la tredicesima non l’avevano già più o non l’avevano mai avuta.
In pratica i pochi provvedimenti si riassumevano in una sola strategia: regalare qualcosa.
Qualcosa agli insegnanti, qualcosa agli statali, qualcosa ai poliziotti, qualcosa alle famiglie. Qualcosa a questo e qualcosa a quello, bonus di qua e bonus di là. Risultato: il rimedio era peggiore del male. Il colmo fu raggiunto quando fu data a qualche milione di dignitosissimi nuovi poveri una Card che regalava la bellezza di 1,3 euro al giorno. Il corrispettivo di mezza pagnotta circa.
E’ una catastrofe! E’ un terremoto! E’ un’alluvione! E’ uno tsunami sociale! Titolavano i giornali.
- Catastrofe? Terremoto? Alluvione?
- Ci vuole la Protezione Sociale! Propose ad un tratto un tizio su un blog su Internet.
- La Protezione Sociale? E che è?
- Semplice! Una cosa che ha fatto nel ‘29 quel comunista di Roosvelt. Invece di sciupare un mare di soldi per fare regali a questo e a quello e che non servono una beneamata mazza, si istituisce un fondo di qualche decina di miliardi, poco più di quanto si è dato alle banche (ma quando ce vò ce vò), e si impiegano tutti ma proprio tutti i giovani, i disoccupati e quelli che perdono il lavoro. Gli si da un salario decente, ma minore del salario normale.
- Un momento! Saranno milioni! Si impiegano a fare che?
- A fare le cose che non si sono mai fatte. La riqualificazione ambientale del territorio, le case per quelli che case non ne hanno, l’assistenza domiciliare agli anziani, la valorizzazione e la messa in attività di tutto il patrimonio dello stato, quello immobiliare per esempio e quello artistico e culturale... Ci sono un mare di cose che non si sono mai fatte e che si potrebbero fare. Che ne so: ristrutturare e rimettere in sicurezza le scuole, ripristinare la vivibilita nei quartieri degradati delle città, riordinare il catasto... Ma soprattutto tutti quei lavoratori saranno impiegati a riqualificare e a rivalorizzare se stessi per rispondere alla domanda di lavoro che non tarderà ad arrivare. Imparando ad usare il computer, a parlare altre lingue, a fare progetti e nuovi mestieri... Potrebbero anche fornire lavoro interinale togliendo questo mercato ai faccendieri, alle finte cooperative che sfruttano e truffano. Inoltre qualche milione di salari sicuri farebbero di nuovo aumentare i consumi contribuendo alla ripresa e togliendo linfa e manodopera alla delinquenza organizzata.
- Ah vorresti ricostruire una nuova pletora di nullafacenti impiegati statali?
- No proprio il contrario. Chi entra nella Protezione Sociale farà di tutto per riqualificarsi ed uscirne per avere un salario più alto e, fino a quando ci sta, si comporta bene perchè il diritto di usufruire della Protezione Sociale è garantito a tutti, ma si può anche perdere con un meccanismo simile a quello della patente a punti.
Figuriamoci se Berlusconi accetta una proposta del genere - pensarono quelli dell’opposizione - Noi comunque è meglio che ci stiamo dentro - propose D’Alema.
- Figuriamoci se quelli del centrosinistra e i sindacati la fanno passare - disse Berlusconi - Noi comunque per adesso diciamo di si, che ci facciamo una bella figura -
- Figuriamoci se non la fanno fuori in aula al momento del voto come hanno fatto altre volte - dissero i sindacati - A noi comunque conviene. Se la dovessero approvare faremmo nuove tessere - Pensarono quelli di CGIL CISL e UGL
Forse perchè nessuno di quelli che contavano ci credeva veramente, forse perchè nessuno di quelli che contavano sapeva più che pesci pigliare, la proposta passò e, per un qualcosa di inspiegabile ma che non è del tutto estraneo alla nostra storia, il progetto fu realizzato al meglio.
Siamo nel 2012 e tra poco ci sono le elezioni. Votiamo di nuovo col vecchio sistema dei collegi uninominali e ci sono pure le primarie.
La crisi è passata e non è stato poi quel gran disastro come in Grecia, in Turchia, in Polonia. Anche la Francia se l’è vista brutta. A noi è andata meglio.
Secondo Clifford D. Simak tra le infinite Italie possibili ce n’è una - si chiama ItaliaAG0G0 - che fino alla fine del 2008 era identica alla nostra e che adesso è nella merda peggio della Turchia della Grecia e della Russia.
Lì la crisi c’è ancora e adesso ci sono le elezioni come da noi.
Pensate che sono candidati di nuovo Veltroni e Berlusconi.
Poveretti!

lunedì 15 dicembre 2008

ALLA FACCIA DEL MINIMALISMO Barack Obama e Gioacchino da Fiore

Perchè il futuro presidente degli USA cita più volte nella sua campagna elettorale un monaco calabrese del 1200? E chi era Gioacchino da Fiore
di Mimmo Loiero


Un fantasma si aggira tra gli Usa e la vecchia Europa. Lo si è visto passeggiare inquieto tra le rovine fumanti di mutui obbligazioni e derivati senza degnare di uno sguardo Dow-Jones, Nikkei e Mibtel, lo si è visto fare rapide apparizioni nei blog di vecchi pensatori marxisti, brutalmente privati del sol dell’avvenire, e aleggiare con un vero ectoplasma tra pagine coraniche e perfino tra grembiulini rituali e cappucci massonici.
E’ il fantasma di quello che fu una persona scomoda.
Frate, predicatore, profeta, mistico, filosofo, innovatore, sognatore rivoluzionario, teologo, scrittore, disegnatore grafico e calabrese.
E’ il fantasma di Gioacchino da Fiore.
Come i fantasmi che si rispettano Gioacchino non si è presentato cosō per caso, ma è stato regolarmente evocato.
Nientepopodimenoche da Barack Obama candidato alla presidenza degli Stati Uniti.
Il probabile futuro presidente degli USA lo ha più volte citato come “maestro della civiltł contemporanea” e “ispiratore di un mondo più giusto” nel corso di una campagna elettorale che non è fatta solo, come vorrebbe un luogo comune qui da noi, di scandaletti e appeal dei candidati.
Il fatto ha destato stupore e sensazione. Stupore soprattutto nel mondo politico-mediatico calabrese, ove, conoscendo poco o niente di Gioacchino e del Gioachimismo, si sono cercate relazioni tra Obama e la Calabria, magari solo con qualche collaboratore del suo staff (calabrese?) che lo avrebbe ispirato.
La sensazione è invece più vasta e meno provinciale.
Del fatto si sono occupati in tanti: da Gianni Vattimo (filosofo marxista) a Baget Bozzo (prete e consigliere culturale di Berlusconi), Aldo Civico (antropologo), Franco Cardini (storico medievalista) e perfino Ridwan al-Sayyid (professore di studi islamici) e la giornalista Emanuela Bambara che (ahimè) lo ha descritto come un massone d’antan.
Niente di strano se si pensa, in passato, che perfino alcuni "pensatori" nazisti hanno cercato di utlizzare le sue "profezie" (terza età = terzo reich)
Ma chi era Gioacchino da Fiore, perchè Obama lo ha “usato” per la sua campagna elettorale e perchè la cosa ha destato sensazione? Cosa ha detto o fatto questo frataccio che girava per l’Italia nel dodicesimo secolo coperto di vesti lacere e che faceva inginocchiare ai suoi piedi le imperatrici? Che relazione ci puś essere tra questa testa tosta calabrese e i destini di una sinistra italiana perduta in un minimalismo senza fine, senza progetto e senza speranza, proprio mentre il capitalismo internazionale che solo ieri celebrava trionfi, ricomincia un cammino di crolli e miserie e mostra il suo volto più misero, bieco e truffaldino?
E infine ha un senso, proprio oggi che la politica, la cultura e i media vivono del “tempo reale”, un presente che è sempre più corto, sempre più piccolo, sempre più evanescente, sempre più falso, dimenticabile e dimenticato, oggi che ci terrorizzano gli immigrati e non ci ricordiamo di essere stati appena ieri terrorizzati dall’influenza aviaria e dall’antrace, oggi che la parola politica significa solo corruzione, soldi, truffe e nient’altro, ha senso oggi guardare il complesso della storia dell’uomo per capirne il senso e la direzione? Ha senso leggere e studiare vecchie utopie?
Probabilmente ha senso. Soprattutto per chi è calabrese. Per chi non si rassegna al dominio del pensiero unico e della nanopolitica.
E comunque quella di Gioacchino è una bella storia.

Gioacchino nacque (intorno al 1130, nell’avvicendarsi della dominazione sveva e quella normanna) e studiò in Calabria a Cosenza. Viaggiś per qualche tempo in Oriente e ritornò in Calabria dove fece il predicatore e l’eremita. Divenne abate del monastero di Santa Maria di Corazzo che diresse abilmente sviluppandolo e ingrandendolo poi chiese di essere esonerato da tale potere e si dedicò ai suoi studi che lo portarono a riflettere sulla storia e sul tempo, sui rapporti tra l’umano e il divino, sulla organizzazione della chiesa e della specie umana, fino a prefigurare un ordine nuovo, una nuova Utopia. Gioacchino da Fiore ebbe una vita molto movimentata. Fondò l’Ordine Florense, incontrò papi (Clemente III, Urbano II Lucio III e Celestino III) e imperatori (Guglielmo II ed Enrico VI), re (Filippo II e Tancredi)e regine, con tutti interagì a tal punto da influenzare la storia. A Riccardo Cuor di Leone predisse l’insuccesso della crociata. Convinse Enrico VI ad abbandonare l’assedio di Napoli, rifiutò di confessare l’imperatrice Costanza fino a quando non si fosse inginocchiata ai suoi piedi. Profetś sulla vita e la morte di Federico II (stupor mundi) allora ancora bambino.
Di lui un testimone raccontò che dettava nello stesso tempo a due suoi collaboratori due libri diversi, di lui si disse che era un santo, ma nessun papa osò nominarlo tale
Morō nel 1202 ma la sua concezione della storia e del mondo, la sua Utopia (il monasterium), i suoi libri continuarono ad influenzare la storia e la cultura nei secoli successivi fino ad oggi.
Ispirò il movimento francescano, venne citato da Dante che nella Divina Commedia si ispira alle sue idee innovatrici, ne utilizza simboli e linguaggio profetico. Cristoforo Colombo collega nei suoi scritti le sue esplorazioni alle profezie di Gioacchino. E d’altronde i frati spagnoli dell’Osservanza portarono nel nuovo mondo la speranza e l’utopia del frate calabrese che ancora oggi in America latina viene studiato. Schemi e simboli gioachimiti vengono riconosciuti in Michelangelo nella Cappella Sistina come nel Duomo di Assisi.
Oggi luoghi di studi gioachimiti continuano ad essere, oltre che il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti di san Giovanni in Fiore, l’Università di Oxford in Inghilterra, le Università di Berlino e di Costanza e, negli USA, la Northwestern University, l’Universitł di Chicago, l’Universitł del Kansas e quella dell’Arizona. All’Universitł di Harvard ha insegnato per lungo tempo Morton Bloomfield, studioso di Gioacchino e del Gioachimismo.
Nessuna meraviglia quindi che Barack Obama conosca e citi il profeta di Celico senza avere bisogno che qualcuno glielo suggerisca.
Gioacchino lasciò molti opere (scritti profetici, di teologia, di storia, sermoni, riflessioni ed analisi sulla Bibbia, scritti sull’Apocalisse)e Il Liber Figurarum che è in qualche modo una sintesi simbolica del pensiero gioachimita, una complessa opera (storia teologia profezia) che è anche uno stupefacente lavoro di grafica.
Il pensiero del filosofo calabrese scaturisce dall’analisi della storia più antica (l’antico testamento - l’età del padre) e dall’analisi del passato più recente (il nuovo testamento - l’età del figlio). Da queste analisi lui ricava la “necessitł” dell’avvento di un tempo futuro (l’età dello spirito) che “deve” giungere ed in cui la specie umana riesce ad esprimere il meglio liberandosi da afflizioni, ignoranza e sottomissione. Sta probabilmente tutta qui la “modernità” di Gioacchino da Fiore. Egli pone, in una maniera “deterministica” e per qualche verso “scientifica”, il tema del futuro dell’umanità. Del suo destino “progressista”.
Ma non si ferma qui. Vede infatti anche la necessità di una organizzazione sociale dell’umanità che superi i rapporti tipici delle due età precedenti (l’etł del padre e l’etł del figlio) tra gli uomini e degli uomini col potere e con la divinità. A questa necessità lui non si sottrae ed erige la sua Utopia anzi il suo Monasterium. Una struttura sociale, ovviamente a carattere teologico, ma dove gli umani trovano la loro collocazione non in base al potere o al denaro o alla discendenza, ma in base alle loro tendenze, al loro carattere e al loro stato (persone contemplative, persone attive, persone dedite alla famiglia, anziani e deboli di salute, studiosi etc) e sotto la pacifica guida di un abate. Il Monasterium ipotizza una riforma radicale e una ristrutturazione che mette in crisi l’organizzazione della chiesa che condanna pubblicamente le sue idee e le sue opere nel concilio Lateranense del 1215.

Dopo la nanotecnologia ecco la nanopolitica

Puttanate, mangia mangia, sud, sinistra e apprendisti stregoni
di Mimmo Loiero

Le nanopolitiche si chiamano così non solo perché sono di bassa lega come l’affaire Alitalia, tanto caro al presidente del consiglio spesso (irrispettosamente) chiamato nano, ma anche perchè dei politici veramente piccoli si occupano di cose infinitamente piccole.
Nanopolitiche come nanotecnologie.
Con la differenza che le nanotecnologie funzionano e sono utili a tutti, le nanopolitiche funzionano e sono utili solo a distogliere l’attenzione dei cittadini dai problemi veri e seri.
Tutto questo mentre l’economia occidentale, diventata un colosso (finanziario), con i piedi (produttivi e commerciali) da nano, non si regge piØ e si avvia a fare un tonfo che quello del ‘29 al confronto sembrerł un piccolo inciampo.
Tutto questo mentre lavoratori, sinistra e sud escono di scena e perfino i loro nomi spariscono dal linguaggio politico e mediatico.
Tutto questo mentre incauti apprendisti in neoorbace o camicia verde, sfruculiano, per interessi molto concreti e moderni, fantasmi e demoni molto antichi ma sempre vivi e vitali (razza religione e nazione). fantasmi e demoni che poi non saranno assolutamente in grado di controllare e che possono ridurre l’italietta a regione balcanica.
Cominciamo dall’affare Alitalia che non è, come dicono e come vorrebbero farci credere, il salvataggio di una azienda statale decotta, ma un vero e proprio affare peraltro molto sporco. L’ennesima sostanziosa portata di una pantagruelica orgiastica scorpacciata, iniziata negli anni ‘90, e che terminerł solo quando l’ultima briciola (le Ferrovie, le Poste, la Rai) dell’immensa ricchezza che costituiva il capitalismo di stato italiano, sarł stata divorata, distrutta e dilapidata.
Ancora ai primi anni ‘90, lo stato italiano, pur se indebitato (meno perś di quanto lo è oggi), possedeva un vero e proprio impero economico costituito da aziende che facevano di tutto e producevano di tutto (petrolio, gas, energia elettrica, treni, aerei, navi, radio, televisioni, case, strade, acqua, scuole, ospedali, porti, aeroporti, musei... e perfino, alberghi, pasta, auto, vestiti).
Lo chiamavano capitalismo di stato ed in Europa era secondo solo al capitalismo di stato sovietico. Questo colosso forniva servizi e prodotti, spesso di buona qualitł, a prezzi moderatamente bassi e dava lavoro a milioni di persone. Non senza problemi di efficienza, spreco, clientelismo, corruzione. Non per niente è entrato in tangentopoli dalla porta principale.
Oggi, dopo poco piØ di un decennio, di questo colosso resta poco. Ma non perchè è passato di mano, acquistato dai privati. Perchè è stato divorato, dilapidato, parcellizzato, delocalizzato, sputtanato, bruciato nel peggiore dei modi.
Oggi lo stato è più indebitato di allora.
Oggi i lavoratori son piØ sfruttati piØ precari, piØ terrorizzati dalla perdita del lavoro e meno pagati di allora.
Oggi i consumatori pagano salatissimo servizi e prodotti peggiorati come qualitł, come efficienza e soprattutto come sicurezza rispetto a quelli forniti dalle aziende di stato.
Chi ci ha guadagnato quindi dalla dismissione del capitalismo di stato italiano? Dalla liquidazione truffaldina di un impero economico bruciato come offerta sacrificale sull’altare di un liberalismo economico che, per lo meno in Italia, non Å mai esistito?
L’affare Alitalia è un esempio che spiega come è accaduto tutto questo.
Spiega come è nata ed è cresciuta la razza degli squali da seconda repubblica. I furbetti delle privatizzazioni, i geni della finanza creativa, i palazzinari che dal mattone passano alle cartolarizzazioni e alla scalata alle banche, i valorosi cavalieri di ventura con i loro scudieri politici che aprono le porte, danno concessioni e consigli, promuovono o bloccano business, fanno e disfano leggi ad personam, smussano angoli e ostacoli. Ovviamente in cambio di soldi, consenso, potere. Nessuno da niente per niente.
Solo pochi anni fa Alitalia era una compagnia aerea al top nel panorama dei vettori mondiali. Solo due anni fa poteva fare un accordo alla pari con i vettori leaders europei. Solo quattro mesi fa poteva essere venduta in blocco ad Air France (tre miliardi di debiti compresi) e con solo 1600 licenziamenti per 1.600 milioni.
Oggi viene acquistata (senza i tre miliardi di debiti e con tremila licenziati) per trecento miseri milioni, da un suo concorrente interno (Air One) pieno di debiti e a capo di una cordata che sarł ri/cordata piØ o meno come la Banda Bassotti.
Domani sarł rivenduta, in un modo o nell’altro e per meno, magari allo stesso vettore internazionale che ieri era disposto a pagarla di più. Tutto questo con procedure scellerate, leggi ad personam e facendo pagare il conto al contribuente che si deve accollare la bad company, i tre miliardi di debiti ed il costo dei licenziati, e al consumatore che pagherł di piØ perchè diminuisce la concorrenza. Dopo essersi accollati trecento milioni di prestito-ponte.
Tutto questo per far ingrassare gli squaletti di turno. Ma non solo. C’è anche, e non è poco, la sistemazione di Malpensa a svantaggio di Fiumicino.
Un altro vantaggio per il nord ed un ennesimo calcio in culo al sud. Un film gił visto per le privatizzazioni e svendite passate e che dovremo rivedere per quelle che verranno.
Di tutta questa schifezza il Walter con amici e compagni, pur se impegnati a scannarsi tra di loro, han fatto di tutto per accaparrarsi un po’ di merito.
E ci sono riusciti!
Questa schifezza come le altre precedenti è anche merito loro!
La sinistra fantasmatico-radicale invece, le poche volte che riesce ad andare in TV, non fa altro che ripetere che non vuole fare polemiche.
E per non fare polemiche, in coerenza con la nanopolitica del centrodestra, educatamente puntualizza, sottolinea, ribatte... sui grembiulini che la ministra Gelmini vuole imporre agli scolari, sui diritti dei travestiti e delle puttane che la Carfagna vuole buttar via dalle strade, sulle telefonate da mezzano del presidente del consiglio, sulla questione se Abdul a Milano sia stato ammazzato a bastonate perchÄ ladro di biscotti o perchè nero.
Come se la cosa possa essere considerata piØ grave o meno grave nell’un caso o nell’altro.
Naturalmente ognuno si pone i problemi che vuole ma non ci si piange addosso se non prendono voti e non ci si meraviglia se un Grillo conquista le piazze o se un Tremonti bacia il santino di carlomarx.
Come si usa dire: non c’è problema.
Non c’è infatti un problema della sinistra in Italia.
La sinistra è il problema attuale dell’Italia.
Perchè ha rinunciato a governare riformando e innovando quando ne ha avuto il mandato, il potere e la responsabilitł.
Perchè non svolge il ruolo di opposizione attuando controlli veri e proposte politiche alternative.
Perchè non ha chiaro e definito un progetto con il quale riunire gli interessi e le energie della maggioranza del paese. Compreso quelli che hanno votato Berlusconi per trovare una soluzione qualunque all’incapacitł del governo di centrosinistra di raccogliere perfino la spazzatura.
Perchè, infine, questa sinistra, senza differenza tra quella radicale, quella riformista, quella cattolica, quella ambientalista, quella sessantottina..., nè tutte insieme, nè separatamente riescono a capire e a sputtanare il progetto politico di questo centrodestra che invece un progetto chiaro ce l’ha.
Si basa su tre punti: diritti dei lavoratori, sud e partecipazione politica.
Il progetto è semplice.
Abolire tutti e tre.
Molti degli strumenti legislativi necessari per realizzare questo progetto sono gił stati approvati o sono in corso di approvazione (leggi sull’immunitł ed impunitł di chi comanda, abolizione delle tasse per i ceti piØ abbienti, leggi e regolamenti di polizia e di pulizia delle strade, provvedimenti tesi ad abolire o comunque a depotenziare l’informazione politica, legge elettorale europea, riforme del sistema legislativo tese ad abolire l’autonomia della magistratura, il cosiddetto federalismo fiscale).
Provvedimenti e leggi che non sarebbero passati ma avrebbero scatenato una rivoluzione se il ceto medio e la classe lavoratrice non fossero stati messi in ginocchio da operazioni di natura economica come il blocco delle remunerazioni, la istituzione del lavoro precario, la crescita incontrollata di prezzi e tariffe, l’impoverimento in seguito ad operazioni truffaldine come le speculazioni finanziarie ed i mutui immobiliari.
Il consenso di cui gode Berlusconi è anche basato sull’impoverimento politico ed economico dei lavoratori e del ceto medio.
E sulla paura.
Una paura artificiale. In parte scatenata da eventi e campagne propagandistiche internazionali (guerre e terrorismo) ed in parte di origine nostrana.
Incauti apprendisti stregoni in neoorbace o camicia verde non esitano ad evocare demoni e fantasmi (questioni di razza etnia religione) che poi non saranno in grado di controllare.
Giocano con le ampolle d’acqua i bossisti, con i simboli celtici gli ex fascisti e oggi sindaci delle libertł. Ed intanto si levano i roghi, si organizzano raid e spedizioni punitive, si scatenano scontri etnici e la camorra e le mafie vestono manti e cappucci da Ku Klux Clan.
A Milano, l’ha visto tutt’Italia nei TG, nell’ultima manifestazione dei leghisti campeggiava uno striscione enorme con su scritto: libertł per il nord.
Sulle spigge calabresi siciliane pugliesi napoletane i giovani ballano le tarantelle e imparano vecchi canti di briganti.

Mala tempora currunt