lunedì 15 dicembre 2008

ALLA FACCIA DEL MINIMALISMO Barack Obama e Gioacchino da Fiore

Perchè il futuro presidente degli USA cita più volte nella sua campagna elettorale un monaco calabrese del 1200? E chi era Gioacchino da Fiore
di Mimmo Loiero


Un fantasma si aggira tra gli Usa e la vecchia Europa. Lo si è visto passeggiare inquieto tra le rovine fumanti di mutui obbligazioni e derivati senza degnare di uno sguardo Dow-Jones, Nikkei e Mibtel, lo si è visto fare rapide apparizioni nei blog di vecchi pensatori marxisti, brutalmente privati del sol dell’avvenire, e aleggiare con un vero ectoplasma tra pagine coraniche e perfino tra grembiulini rituali e cappucci massonici.
E’ il fantasma di quello che fu una persona scomoda.
Frate, predicatore, profeta, mistico, filosofo, innovatore, sognatore rivoluzionario, teologo, scrittore, disegnatore grafico e calabrese.
E’ il fantasma di Gioacchino da Fiore.
Come i fantasmi che si rispettano Gioacchino non si è presentato cosō per caso, ma è stato regolarmente evocato.
Nientepopodimenoche da Barack Obama candidato alla presidenza degli Stati Uniti.
Il probabile futuro presidente degli USA lo ha più volte citato come “maestro della civiltł contemporanea” e “ispiratore di un mondo più giusto” nel corso di una campagna elettorale che non è fatta solo, come vorrebbe un luogo comune qui da noi, di scandaletti e appeal dei candidati.
Il fatto ha destato stupore e sensazione. Stupore soprattutto nel mondo politico-mediatico calabrese, ove, conoscendo poco o niente di Gioacchino e del Gioachimismo, si sono cercate relazioni tra Obama e la Calabria, magari solo con qualche collaboratore del suo staff (calabrese?) che lo avrebbe ispirato.
La sensazione è invece più vasta e meno provinciale.
Del fatto si sono occupati in tanti: da Gianni Vattimo (filosofo marxista) a Baget Bozzo (prete e consigliere culturale di Berlusconi), Aldo Civico (antropologo), Franco Cardini (storico medievalista) e perfino Ridwan al-Sayyid (professore di studi islamici) e la giornalista Emanuela Bambara che (ahimè) lo ha descritto come un massone d’antan.
Niente di strano se si pensa, in passato, che perfino alcuni "pensatori" nazisti hanno cercato di utlizzare le sue "profezie" (terza età = terzo reich)
Ma chi era Gioacchino da Fiore, perchè Obama lo ha “usato” per la sua campagna elettorale e perchè la cosa ha destato sensazione? Cosa ha detto o fatto questo frataccio che girava per l’Italia nel dodicesimo secolo coperto di vesti lacere e che faceva inginocchiare ai suoi piedi le imperatrici? Che relazione ci puś essere tra questa testa tosta calabrese e i destini di una sinistra italiana perduta in un minimalismo senza fine, senza progetto e senza speranza, proprio mentre il capitalismo internazionale che solo ieri celebrava trionfi, ricomincia un cammino di crolli e miserie e mostra il suo volto più misero, bieco e truffaldino?
E infine ha un senso, proprio oggi che la politica, la cultura e i media vivono del “tempo reale”, un presente che è sempre più corto, sempre più piccolo, sempre più evanescente, sempre più falso, dimenticabile e dimenticato, oggi che ci terrorizzano gli immigrati e non ci ricordiamo di essere stati appena ieri terrorizzati dall’influenza aviaria e dall’antrace, oggi che la parola politica significa solo corruzione, soldi, truffe e nient’altro, ha senso oggi guardare il complesso della storia dell’uomo per capirne il senso e la direzione? Ha senso leggere e studiare vecchie utopie?
Probabilmente ha senso. Soprattutto per chi è calabrese. Per chi non si rassegna al dominio del pensiero unico e della nanopolitica.
E comunque quella di Gioacchino è una bella storia.

Gioacchino nacque (intorno al 1130, nell’avvicendarsi della dominazione sveva e quella normanna) e studiò in Calabria a Cosenza. Viaggiś per qualche tempo in Oriente e ritornò in Calabria dove fece il predicatore e l’eremita. Divenne abate del monastero di Santa Maria di Corazzo che diresse abilmente sviluppandolo e ingrandendolo poi chiese di essere esonerato da tale potere e si dedicò ai suoi studi che lo portarono a riflettere sulla storia e sul tempo, sui rapporti tra l’umano e il divino, sulla organizzazione della chiesa e della specie umana, fino a prefigurare un ordine nuovo, una nuova Utopia. Gioacchino da Fiore ebbe una vita molto movimentata. Fondò l’Ordine Florense, incontrò papi (Clemente III, Urbano II Lucio III e Celestino III) e imperatori (Guglielmo II ed Enrico VI), re (Filippo II e Tancredi)e regine, con tutti interagì a tal punto da influenzare la storia. A Riccardo Cuor di Leone predisse l’insuccesso della crociata. Convinse Enrico VI ad abbandonare l’assedio di Napoli, rifiutò di confessare l’imperatrice Costanza fino a quando non si fosse inginocchiata ai suoi piedi. Profetś sulla vita e la morte di Federico II (stupor mundi) allora ancora bambino.
Di lui un testimone raccontò che dettava nello stesso tempo a due suoi collaboratori due libri diversi, di lui si disse che era un santo, ma nessun papa osò nominarlo tale
Morō nel 1202 ma la sua concezione della storia e del mondo, la sua Utopia (il monasterium), i suoi libri continuarono ad influenzare la storia e la cultura nei secoli successivi fino ad oggi.
Ispirò il movimento francescano, venne citato da Dante che nella Divina Commedia si ispira alle sue idee innovatrici, ne utilizza simboli e linguaggio profetico. Cristoforo Colombo collega nei suoi scritti le sue esplorazioni alle profezie di Gioacchino. E d’altronde i frati spagnoli dell’Osservanza portarono nel nuovo mondo la speranza e l’utopia del frate calabrese che ancora oggi in America latina viene studiato. Schemi e simboli gioachimiti vengono riconosciuti in Michelangelo nella Cappella Sistina come nel Duomo di Assisi.
Oggi luoghi di studi gioachimiti continuano ad essere, oltre che il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti di san Giovanni in Fiore, l’Università di Oxford in Inghilterra, le Università di Berlino e di Costanza e, negli USA, la Northwestern University, l’Universitł di Chicago, l’Universitł del Kansas e quella dell’Arizona. All’Universitł di Harvard ha insegnato per lungo tempo Morton Bloomfield, studioso di Gioacchino e del Gioachimismo.
Nessuna meraviglia quindi che Barack Obama conosca e citi il profeta di Celico senza avere bisogno che qualcuno glielo suggerisca.
Gioacchino lasciò molti opere (scritti profetici, di teologia, di storia, sermoni, riflessioni ed analisi sulla Bibbia, scritti sull’Apocalisse)e Il Liber Figurarum che è in qualche modo una sintesi simbolica del pensiero gioachimita, una complessa opera (storia teologia profezia) che è anche uno stupefacente lavoro di grafica.
Il pensiero del filosofo calabrese scaturisce dall’analisi della storia più antica (l’antico testamento - l’età del padre) e dall’analisi del passato più recente (il nuovo testamento - l’età del figlio). Da queste analisi lui ricava la “necessitł” dell’avvento di un tempo futuro (l’età dello spirito) che “deve” giungere ed in cui la specie umana riesce ad esprimere il meglio liberandosi da afflizioni, ignoranza e sottomissione. Sta probabilmente tutta qui la “modernità” di Gioacchino da Fiore. Egli pone, in una maniera “deterministica” e per qualche verso “scientifica”, il tema del futuro dell’umanità. Del suo destino “progressista”.
Ma non si ferma qui. Vede infatti anche la necessità di una organizzazione sociale dell’umanità che superi i rapporti tipici delle due età precedenti (l’etł del padre e l’etł del figlio) tra gli uomini e degli uomini col potere e con la divinità. A questa necessità lui non si sottrae ed erige la sua Utopia anzi il suo Monasterium. Una struttura sociale, ovviamente a carattere teologico, ma dove gli umani trovano la loro collocazione non in base al potere o al denaro o alla discendenza, ma in base alle loro tendenze, al loro carattere e al loro stato (persone contemplative, persone attive, persone dedite alla famiglia, anziani e deboli di salute, studiosi etc) e sotto la pacifica guida di un abate. Il Monasterium ipotizza una riforma radicale e una ristrutturazione che mette in crisi l’organizzazione della chiesa che condanna pubblicamente le sue idee e le sue opere nel concilio Lateranense del 1215.

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