lunedì 25 febbraio 2008

Cas De Magistris. Giustizia è morta! E la politica?

La cosa che salta agli occhi della decisione del CSM di trasferire il magistrato Luigi De Magistris e di vietargli il "mestiere" di magistrato inquirente, è che, nonostante la stessa sia costruita su pedissequi tecnicismi relativi a contestate irregolarità rituali nel comportamento del magistrato catanzarese, è, però, ne sono convinti in tanti, una decisione politica.

Se è così il CSM non sarebbe solo, come afferma Cossiga "il "braccio secolare dell'Associazione Nazionale Magistrati che si sente accerchiata" ma il braccio armato di un ceto politico oramai costretto a fare quadrato su tutti (Mastella, Bassolino, Berlusconi. Ratzinger) e su tutto ( spazzatura, inefficienza, malapolitica, teodem, intoccabilità degli statali e mafie) per evitare un crollo a catena catastrofico come un domino impazzito.

Lo strumento della politica consente, molto meglio di ogni arzigogolo giuridico, una analisi corretta e concreta di tutta la vicenda che, al di la della volontà dei protagonisti (a cominciare da De Magistris) è una vicenda squisitamente politica.

il PM calabrese, con le sue inchieste, probabilmente anche al di là della sua volontà, ha, di fatto, messo in pericolo l'immagine, il benessere e la stessa sopravvivenza della "casta" mettendone in luce le responsabilità nella corruzione, nel degrado economico e sociale, nella sottomissione ai poteri mafiosi, nello spreco di risorse. Come peraltro giorno per giorno appare chiaro nella monnezza di Napoli, nei depuratori della Calabria, negli scandali della sanità, nella storia dell'A3, nelle universita...

La "casta" avrebbe potuto sopportare, forse e con molta fatica, lo sputtanamento di piccoli pesci locali al massimo di livello regionale, come capri espiatori di un rinnovamento, un'azione di pulizia drastica che in Calabria e in tutto il sud rappresenta l'ultima spiaggia, l'ultima carta da giocare per salvare almeno l'immagine delle istituzioni.

Un ceto politico anche solo mediamente intelligente, una classe dirigente nazionale anche di levatura modesta, ma innocente e non collusa col malaffare, avrebbe utilizzato le inchieste del magistrato calabrese da una parte per promuovere una pulizia oramai improcrastinabile e dall'altra per fare risaltare che se pure c'è del marcio la politica, lo stato, le istituzioni, sono sane o comunque sanno risanarsi.

Non è andata così. Il ceto politico italiano nato da tangentopoli e formato oramai da clan familiari, da categorie sociali e club affaristici, più che da partiti veri e propri, non poteva assolutamente permettersi, per questione di pura sopravvivenza, l'azione di un magistrato intransigente onesto e soprattutto privo, per dichiarata vocazione e per obbligo professionale, degli strumenti della politica (capacità di mediazione, strategia, senso del tempo e delle opportunità, uso delle alleanze)

Per questo lo hanno fatto fuori. Con le ispezioni, con l'avocazione delle inchieste ed, per adesso, con il trasferimento e la sollevazione dalle funzioni.
Per debolezza.

Il limite dell'azione di De Magistris è invece quello di essere stato solo e soltanto un (troppo bravo) magistrato e soprattutto di non avere interlocutori politici puliti e competenti.

Purtroppo, lo hanno capito anche i bambini più scemi, con De Magistris e prima di De Magistris sono state fatte fuori anche e soprattutto le sue inchieste.

Rimangono però sempre più nudi e crudi i problemi che avevano causato quelle inchieste e che l'effetto mediatico di questa decisione può aggravare:
- la corruzione, l'inefficienza, la collusione con le mafie del ceto politico meridionale e la sua sostanziale incapacità di dare risposte che non siano di pura e semplice sopravvivenza di sé stessi.
- l'incapacità e l'assoluta mancanza di volontà della classe dirigente nazionale (il nord) di finirla con un uso neocoloniale delle regioni meridionali da cui trarre forza lavoro, potere, consensi, tangenti, commesse, risparmi in cambio di generica assistenza. Imparino come altri stati europei (Genrmania, Spagna, Inghilterra) hanno trattato le loro regioni più povere.
- la difficoltà dei cittadini meridionali di sentirsi comunità responsabile e protagonista del proprio futuro, l'accettazione passiva di una fristarzione collettiva che rischia sempre di più di sfociare in comportamenti ribellisti autolesionisti e inutili come , proprio in questi giorni ha dimostrato la "guerra della monnezza" a Napoli.

La sentenza del CSM è un fatto grave. Per i calabresi, per il meridione, per molti italiani è un lutto. E' morta la giustizia, Ma è' morta anche la fiducia nelle istituzioni e la speranza di un rinnovamento politico e sociale del sud, veloce e senza troppi traumi.

Nessun commento:

Posta un commento

Tu cosa ne pensi?